La finalità è scongiurare un massiccio intasamento delle aule di giustizia e dei ruoli dei tribunali.
E nella migliore tradizione del geniale Autore v'è l'elaborazione di una formula di calcolo.
... un'altra "Formula Liberati"!
Ovviamente ringrazio sentitamente il caro Alessio per questo lavoro su cui il dibattito è d'ora in avanti aperto.
Buona lettura a tutti!
QUALE DESTINO PER IL CANONE DA LOCAZIONI NEL PERIODO DI EMERGENZA SANITARIA DA COVID 19?
UNA POSSIBILE SOLUZIONE: IL C.D. "LODO LOCAZIONI"
del Dott. Alessio Liberati
-Definizione del problema
-Inapplicabilità degli istituti codicistici
-La normativa emergenziale: contenuto e conseguenze
-La giurisprudenza pregressa e la sua applicazione al periodo emergenziale
-La normativa di riferimento per una possibile soluzione
Definizione del problema
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Il periodo di emergenza sanitaria da COVID-19 protrattosi per circa 3 mesi ha avuto ed avrà dei grandissimi seguiti giudiziari.
Uno dei più significativi è certamente rappresentato dal "destino" dei canoni locatizi.
Se la normativa emergenziale non sembra aver offerto una soluzione definitiva, la normativa codicistica risulta allo stato inapplicabile, per le ragioni che si vedranno.
Si prospettano quindi soluzioni bonarie tra le parti, per evitare da un lato il fallimento delle attività commerciali (o la perdita della abitazione) e dall'altro per assicurare la corresponsione del canone ai proprietari.
In questa prospettiva, nel dibattito informale che sta precedendo le prime convalide di sfratto che a breve dovranno essere decise, è apparsa di interesse una possibile formula da me ipotizzata, e che qualcuno ha già ribattezzato "lodo locazioni", o più scherzosamente, lodo Liberati o formula di Liberati.
Partendo dalla normativa, andrò quindi a spiegare a breve il contenuto.
Inapplicabilità degli istituti codicistici
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Occorre preliminarmente esaminare in breve gli strumenti giuridici astrattamente invocabili nel nostro ordinamento, in linea teorica, in simili situazioni di fatto.
La prima disposizione da analizzare è certamente quella che disciplina la impossibilità sopravvenuta ex art. 1463 cc: Nei contratti con prestazioni corrispettive, la parte liberata per la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta non può chiedere la controprestazione, e deve restituire quella che abbia già ricevuta, secondo le norme relative alla ripetizione dell'indebito. Sul punto, deve ritenersi che non sussiste l'ipotesi nella fattispecie concreta: l'immobile infatti è stato occupato anche durante l'epidemia, e la prestazione corrispettiva (cioè il pagamento del canone) non può venir meno se non con l'ipotesi scuola del ritiro dei mezzi pagamento (moneta, moneta elettronica) utilizzabili.
Va anche esclusa la c.d. "impossibilità parziale sopravvenuta" come prevista dall'art. 1464 cc: Quando la prestazione di una parte è divenuta solo parzialmente impossibile, l'altra parte ha diritto a una corrispondente riduzione della prestazione da essa dovuta, e può anche recedere dal contratto qualora non abbia un interesse apprezzabile all'adempimento parziale. Tale disposizione, in particolare, prevede la possibilità della riduzione della prestazione (canone), ma anche essa non ricorre nel caso concreto: innanzitutto non si può considerare la vicenda del Coronavirus come "… prestazione di una parte (locatore) divenuta solo parzialmente impossibile". In secondo luogo non può ritenersi violato l'obbligo del locatore di consegnare e mantenere il bene in condizione da essere utilizzato secondo l'uso contrattualmente stabilito ai sensi dell'art. 1575 cc. Infine, va considerato che la situazione di "impossibilità sopravvenuta parziale", allo stato non ha le caratteristiche della definitività.
Non può nemmeno ipotizzarsi la detta impossibilità parziale sotto il diverso profilo di rendere la prestazione dovuta (canone), rinvenibile quando la stessa sia divenuta impossibile solo in parte, ai sensi dell'art. 1258 cc. In questo caso il debitore (conduttore) si libera dall'obbligazione eseguendo la prestazione per la parte che è rimasta possibile. Anche qui, infatti, deve considerarsi che l'impossibilità parziale, allo stato, non è definitiva. Superata l'emergenza, infatti, l'immobile sarà nuovamente e totalmente utilizzabile e comunque, anche durante l'emergenza, è stato occupato per la sua interezza da cose e beni del conduttore e dunque la limitazione non ha in realtà riguardato l'uso dell'immobile in sé.
Non può nemmeno ipotizzarsi la impossibilità parziale di rendere la prestazione dovuta (canone), rinvenibile quando la stessa sia divenuta impossibile solo in parte, ai sensi dell'art. 1258 cc. In questo caso il debitore (conduttore) si libera dall'obbligazione eseguendo la prestazione per la parte che è rimasta possibile. Anche qui, tuttavia, deve considerarsi che l'impossibilità parziale, allo stato, non è definitiva. Superata l'emergenza, infatti, l'immobile sarà nuovamente utilizzabile e che, comunque, anche durante l'emergenza, è stato occupato da cose e beni del conduttore, che quindi ha usufruito dello spazio locativo.
Non è infine invocabile, ad avviso di questo giudice, neanche la cosiddetta impossibilità temporanea di adempiere alla propria obbligazione di cui all'art. 1256 cc, invocabile astrattamente a seguito del provvedimento di chiusura delle attività commerciali di cui al Dpcm dell'11 marzo 2020. Va considerato, infatti, che il divieto di esercitare l'attività non determina l'impossibilità per il conduttore di utilizzare l'immobile, quale prestazione dovuta dalla contro parte (locatore). La mancanza degli incassi dovuta alla chiusura forzata dell'esercizio commerciale non determina l'impossibilità di adempiere alla propria obbligazione (canone), atteso che il periodo interessato non è tale da esulare dal c.d. rischio di impresa.
Infine, non ricorre nemmeno la "eccessiva onerosità sopravvenuta" ai sensi dell'art. 1467 cc. L'immobile ha conservato il proprio valore locativo nel periodo interessato e, comunque, la onerosità deve attenere ad aspetti obiettivi e non alle condizioni soggettive (perdita di reddito, ad esempio) del conduttore. Tale soluzione, peraltro, potrebbe determinare solo la pretesa di risoluzione del contratto da parte del conduttore (evitando il preavviso di 6 mesi per gravi motivi) e sempre che il locatore, di fronte alla richiesta risoluzione, non "offra di modificare equamente le condizioni del contratto."
Anche in questo caso, tuttavia, va considerata la non definitività della situazione di crisi che determina l'eccessiva onerosità ed il periodo limitato di tempo consente di ritenere che si verta in ipotesi di ordinario rischio di impresa, che grava sul conduttore.
La normativa emergenziale: contenuto e conseguenze
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Quanto alle diposizioni specificamente elaborate per la situazione di emergenza epidemiologica da Covid 19, il D.L. n. 18/2020, c.d. Cura Italia, ha previsto all'art. 65, del d.l. n. 18/2020, in favore del conduttore un credito di imposta pari al 60% dell'ammontare del canone di locazione, relativo al mese di marzo 2020, di immobili rientranti nella categoria catastale C/1- Negozi e botteghe. Su tale aspetto, l'Agenzia delle Entrate (Ag. Entrate, circ. 3 aprile 2020, n. 8/E), tra i chiarimenti sulle norme del Decreto Cura Italia, ha fornito anche delle delucidazioni sul credito di imposta per le locazioni commerciali di negozi e botteghe di cui all'art. 65, d.l. n. 18/2020: il credito d'imposta, pari al 60% del canone di locazione del mese di marzo 2020, è riconosciuto solo sui canoni effettivamente pagati; un canone di locazione non pagato non produrrà il credito d'imposta in quanto la norma intende ristorare il conduttore del canone versato a fronte della sospensione dell'attività di impresa in questo periodo. La normativa è stati poi estesa per contenuto applicativo e periodo.
Tale previsione compensa già a livello teorico l'eventuale eccessiva onerosità cui il conduttore va incontro, e impedisce una rilevanza ai fini della risoluzione del contratto. Inoltre la norma fornisce una indiretta conferma della intangibilità del rapporto contrattuale alla luce della normativa, posto che, laddove l'ordinamento avesse già previsto al suo interno una possibile sospensione, riduzione o caducazione dei canoni dovuti, una simile disposizione non avrebbe avuto alcun senso.
L'art. 95 del c.d. decreto cura Italia ha invece previsto la possibilità, per le federazioni sportive nazionali, gli enti di promozione sportiva, le società e associazioni sportive, professionistiche e dilettantistiche, che hanno il domicilio fiscale, la sede legale o la sede operativa nel territorio dello Stato, di sospendere i canoni di locazione e concessori relativi all'affidamento di impianti sportivi pubblici dello Stato e degli enti territoriali. Tale norma non ricorre ovviamente nel caso di specie, stante la caratteristiche del bene.
La giurisprudenza pregressa e la sua applicazione al periodo emergenziale
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Va anche rammentato che, seppur in diverso contestato, la Corte di Cassazione, Sezione Terza Civile, Sentenza 27 settembre 2016, n. 18987 ha sancito che "In altri termini, al conduttore non è consentito di astenersi dal versare il canone, ovvero di ridurlo unilateralmente, nel caso in cui si verifichi una riduzione o una diminuzione nel godimento del bene, e ciò anche quando si assume che tale evento sia ricollegabile al fatto del locatore. La sospensione totale o parziale dell'adempimento dell'obbligazione del conduttore è, difatti, legittima soltanto qualora venga completamente a mancare la controprestazione da parte del locatore, costituendo altrimenti un'alterazione del sinallagma contrattuale che determina uno squilibrio tra le prestazioni delle parti".
Del resto, come detto, lo stesso Decreto Cura Italia, all'articolo 65, prevedendo a favore del conduttore un credito d'imposta per l'anno 2020 pari al 60% del canone di locazione relativo al mese di marzo 2020 per l'affitto degli immobili rientranti nella categoria catastale C/1 (botteghe e negozi), presuppone che non sia legislativamente previsto alcun diritto alla sospensione o riduzione del canone, che resta da pagare, regolarmente.
A rafforzare tale disposizione l'art. 103, comma 6, d.l. n. 18/2020 dispone che "l'esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, anche ad uso non abitativo, è sospesa fino al 30 giugno 2020", termine poi prorogato. Quest'ultima disposizione è infatti destinata a trovare applicazione relativamente all'esecuzione di ogni provvedimento giudiziario che disponga il rilascio di qualsiasi immobile, non solo abitativo ma anche non abitativo.
In conclusione, pur prendendo atto che il legislatore stesso ha riconosciuto la eccezionalità della situazione e le gravi ripercussioni che ha comportato, non può che riconoscersi che non ha voluto prevedere una forma di intervento normativo idonea ad incidere sui rapporti locatizi di natura privata (intervenendo invece sulla sospensione dei canoni degli impianti sportivi di titolarità pubblica), ma anzi, al contrario, prevedendo forma di sgravi fiscali, da un lato ha declinato forme di intervento diretto nei rapporti tra privati, dall'altro ha indirettamente confermato la perdurante validità ed efficacia dei vincoli, rimettendo alla eventuale volontà delle parti - anche in previsione del periodo di difficile ripresa dello stesso mercato degli affitti, che potrebbe ex se spingere i locatari alla eventuale revisione al ribasso degli accordi - ogni eventuale possibilità di modifica.
La normativa di riferimento per una possibile soluzione
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Vi è poi l'art. 91, comma 6-bis, d.l. n. 18/2020, in base alla quale "il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutata ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti".
Questa fattispecie potrebbe a mio avviso offrire la soluzione.
Anche al conduttore moroso, infatti, deve essere esclusa ai sensi e per gli effetti degli artt. 1218 e 1223 c.c., la responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti..
Quali conclusioni trarne?
Il ritardo del pagamento non può essere considerato rilevante ai fini della convalida di sfratto.
In sostanza il conduttore dovrà pagare il canone per intero, ma il ritardo non potrà mai giustificare lo sfratto. Tuttavia un termine massimo per il ritardo va stabilito, e solo dopo che lo stesso sia decorso potrà essere disposto lo sfratto, una volta integrati gli altri presupposti di legge (ad esempio le due mensilità di morosità).
Ed allora, ecco una possibile formula applicativa utile a risolvere il problema.
Il tempo massimo per giustificare l'inadempimento sarà pari alla morosità maturata nel periodo di emergenza sanitaria da COVID-19 - e quindi compresa tra 1 e 3 mensilità, considerato che la limitazione alla libera circolazione è stata in vigore nei mesi di marzo/aprile/maggio - per il numero di anni di locazione previsti.
In sostanza questa è l'equazione:
Ritardo giustificato = mesi di inadempimento x durata in anni prevista nel contratto
Una semplice formula di calcolo, ricavata dalla applicazione della normativa in vigore, che può consentire a mio avviso, con buon senso e nell'interesse di tutte le parti, di ovviare alle mancate previsioni specifiche da parte della normativa, come una sorta di "lodo" arbitrale.
Stante l'enorme numero di soggetti interessati, ciò consentirebbe anche di evitare l'iscrizione di un numero incalcolabile di procedimenti per convalida di sfratto, destinati inevitabilmente ad essere non convalidati (in caso di opposizione) ed a trasformarsi in giudizi di merito che durerebbero anni ed anni, con conseguenti danni per tutti.
Ovviamente è auspicabile una applicazione in sede di mediazione e rinegoziazione, ancor prima che in sede giurisprudenziale.
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