La CTR Reggio Emilia rammenta che l'obbligo dell'esattore ex art. 26 del d.P.R. 602/73 di conservazione delle cartelle non rappresenta un termine massimo di conservazione delle stesse

di Lucia Izzo - L'art. 26, quinto comma, del d.P.R. 602/73 comporta per l'esattore un mero obbligo minimo di conservazione delle cartelle di pagamento per un quinquennio. Non si tratta, però, di un termine massimo di conservazione delle stesse. In caso di contenzioso giurisdizionale, infatti, l'esattore sarà comunque tenuto, anche oltre i cinque anni, a fornire in giudizio prova della notificazione della cartella e a conservarne prova documentale ostensibile nelle varie fasi di definizione del rapporto.

Impugnazione cartelle di pagamento: limite di 5 anni

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Lo ha chiarito la Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Emilia con la sentenza n. 84.02.20 (sotto allegata) accogliendo il ricorso di una contribuente che aveva evocato in giudizio l'Agenzia delle Entrate Riscossione, impugnando una serie di cartelle di pagamento emesse ai fini IVA, con relative sanzioni e interessi, per gli anni d'imposta 1995 e 1996.

La ricorrente assume di essere venuta a conoscenza della loro esistenza solo tramite un accesso presso gli uffici della suddetta Agenzia che le aveva consegnato i relativi estratti di ruolo, per questo le ritiene illegittime non avendone mai ricevuto notifica. Ancora, la stessa evidenzia di aver chiesto più volte la produzione degli originali delle cartelle notificate.

L'Agenzia, invece, ritiene che ai sensi dell'art. 26, comma 4, del D.P.R. 602/1973 il concessionario è tenuto alla conservazione per cinque anni della matrice o della copia della cartella con relazione relazione dell'avvenuta notificazione o l'avviso di ricevimento. Limite di cinque anni che, nel caso di specie, sarebbe stato abbondantemente superato.

Cartella di pagamento e prova della notificazione in giudizio

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Sul punto, inerente l'assolvimento dell'onere probatorio da parte di Agenzia delle Entrate-Riscossione, la CTP richiama e si conforma al precedente di cui alla sentenza 6887/2016 con cui la Corte di Cassazione ha ritenuto che il concessionario (all'epoca Equitalia) non possa avvalersi del disposto di cui all'articolo 26, quinto comma, del d.P.R. 602/73.


Questa disposizione, spiega la Suprema Corte, nello stabilire che "l'esattore deve conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell'avvenuta notificazione o l'avviso di ricevimento ed ha l'obbligo di farne esibizione su richiesta del contribuente o dell'amministrazione" non determina un'ipotesi di esenzione, oltre il quinquennio, dall'onere della prova a vantaggio del concessionario, ma si limita a stabilire che quest'ultimo debba conservare la prova documentale della cartella notificata a soli fini di esibizione al contribuente o all'amministrazione.

Per approfondimenti: Equitalia, cartelle da conservare oltre i 5 anni

Ciò non toglie che, per le esigenze connaturate al contenzioso giurisdizionale, trovino pieno e continuativo vigore (se necessario, anche oltre i cinque anni) le disposizioni generali sul riparto e sul soddisfacimento dell'onere probatorio. Di conseguenza, l'esattore sarà comunque tenuto, indipendentemente dal suddetto obbligo di conservazione nel quinquennio, a fornire in giudizio la prova della notificazione della cartella.

Bisogna tenere distinti, da un lato, l'obbligo di conservazione a fini amministrativi, organizzativi ed ispettivi, e, dall'altro, l'osservanza dell'articolo 2697 c.c. che non viene certo derogato dalla norma speciale.

Si tratta di soluzione che la Suprema Corte ritiene coerente, tra l'altro, con quanto più volte affermato in diversa materia, ma in analoga fattispecie legale di tenuta documentale obbligatoria, in relazione all'obbligo di conservazione decennale delle scritture contabili ex art. 2220 c.c., non idoneo a sollevare l'imprenditore, successivamente al decorso dei dieci anni, dall'onere della prova posto a suo carico nel giudizio secondo le regole generali (Cass. 26683/09; 1842/11; 19696/14 ed altre).

Mero obbligo minimo di conservazione

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Ancora, la CTP richiama il dictum del Consiglio di Stato che, nella sentenza n. 5410/2015 ha chiarito che la disposizione di cui all'art. 26 cit. comporta per il l'esattore (o per il concessionario) un mero obbligo minimo di conservazione delle cartelle per un quinquennio e non un termine massimo di conservazione delle stesse, non potendo, d'altra parte, incidere sul termine decennale di prescrizione ordinaria.

Costituisce, secondo il Consiglio di Stato, "precipuo interesse dell'esattore, nonché preciso onere improntato alla diligenza, conservare, in caso di mancata riscossione dei tributi nel quinquennio e in occasione di rapporti giuridici ancora aperti e non definiti, la copia della cartella oltre i cinque anni, per tutto il periodo in cui il credito portato ad esecuzione non sia stato recuperato, in modo da conservarne prova documentale ostensibile, anche a richiesta dei soggetti legittimati, nelle varie fasi di definizione del rapporto, onde poter compiutamente esercitare le prerogative esattoriali".

Cartelle di pagamento annullate

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Nel caso di specie, l'Agenzia delle Entrate, infatti, non ha adempiuto all'onere di produrre copia delle cartelle impugnate debitamente notificate. Inutile per la medesima Agenzia evidenziare che la ricorrente avrebbe avuto conoscenza dell'esistenza delle cartelle da altri atti, ovvero copie prodotte in atti. La contribuente, infatti, aveva disconosciuto ex artt. 2712 e 2718 c.c. la conformità di tali atti agli originali e l'Agenzia nulla aveva controdedotto.

Tanto premesso, la CTP ritiene, in conclusione, che la ricorrente non abbia mai avuto legale conoscenza degli atti impugnati né di altri atti che li presupponevano e/o richiamavano. Viene ritenuta del tutto priva di valore probatorio la schermata di ricevuta del pagamento di un acconto su di una cartella stante la forma del tutto anonima del documento. In accoglimento dei ricorsi, gli atti impugnati vengono annullati.

Si ringrazia lo Studio Legale Amatucci per l'invio del provvedimento

Scarica pdf CTP Reggio Emilia, sent. 84.02.2020

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