Secondo l'ufficio studi della Cgia gli italiani pagano 33,4 miliardi in più di tasse rispetto alla media europea. E dal 2020 la situazione potrebbe peggiorare

di Redazione - 33,4 miliardi. A tanto ammontano le tasse che gli italiani pagano in più rispetto alla media europea. Questi i dati 2018, elaborati dall'ufficio studi della Cgia di Mestre, tramite la comparazione della pressione fiscale dei 28 paesi Ue e il calcolo del gap esistente tra l'Italia e ciascun membro dell'Eurozona.

Vai allo studio realizzato dalla Cgia di Mestre

Un differenziale che, dice la Cgia, pesa quasi due punti di Pil e che in termini procapite fa corrispondere circa 550 euro in più al fisco rispetto ai cittadini europei.

Pressione fiscale, i dati

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Se avessimo la pressione fiscale della Germania, infatti, evidenziano gli artigiani, verseremmo 24,6 miliardi di tasse in meno (407 euro pro capite), dell'Olanda 56,2 (930 euro pro capite), del Regno Unito 114,2 (1.888 euro pro capite) e della Spagna 119,5 (1.975 euro pro capite). Solo Francia, Belgio, Danimarca, Svezia, Austria e Finlandia hanno pagato mediamente più tasse di noi nel 2018.

"Il tempo degli slogan e delle promesse è terminato. Con la prossima manovra di Bilancio è necessario uno scossone che nel giro di qualche anno riduca di 3-4 punti percentuali il peso delle tasse. Considerata la delicata situazione dei nostri conti pubblici, tale intervento sarà praticabile solo ed esclusivamente se si riuscirà ad abbassare, di pari importo, la spesa pubblica improduttiva e una parte dei bonus fiscali", denuncia il coordinatore dell'Ufficio studi Cgia, Paolo Zabeo. Operazione, che appare difficilmente perseguibile. E lo confermano, ammonisce ancora Zabeo, i risultati ottenuti nell'ultimo decennio. "Tutti gli esecutivi che si sono succeduti - rammenta infatti Zabeo - si sono cimentati con grande determinazione sul versante della spending review; gli esiti, però, sono stati insoddisfacenti. L'auspicio è che il Governo Conte abbia maggiore fortuna".

Un processo vizioso…

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Un peso, quello fiscale, che non solo mette a repentaglio la tenuta finanziaria di famiglie e imprese, ma che innesca anche nel sistema economico processi viziosi pericolosi. "Con un peso fiscale opprimente e una platea di servizi erogati dall'Amministrazione pubblica che negli ultimi anni è diminuita sia in termini di qualità che di quantità, la domanda interna e gli investimenti hanno subito una caduta verticale" afferma il segretario della Cgia, Renato Mason.

Senza contare, che "è diventato sempre più difficile fare impresa, creare nuovi posti di lavoro e redistribuire la ricchezza".

Inoltre, "alle piccole e piccolissime imprese, l'effetto combinato tra il calo dei consumi delle famiglie e la contrazione dei prestiti bancari ha provocato molti squilibri finanziari, costringendo tantissimi lavoratori autonomi a chiudere l'attività e a cambiare mestiere" rincara Mason.

La manovra di bilancio 2020

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Nell'attesa della manovra di bilancio 2020, che deve chiarire come verranno recuperati i 23,1 miliardi di euro necessari per il disinnesco delle clausole di salvaguardia, spiega la Cgia, che la pressione fiscale 'reale' nel nostro Paese è di ben 6 punti superiore al dato 'ufficiale'. Il nostro Pil, come quello di altri Paesi dell'Ue, "include anche gli effetti dell'economia non osservata che, secondo le ultime stime dell'Istat, ammontano a 209 miliardi di euro all'anno". Una ricchezza "generata dalle attività irregolari e illegali - che - se da un lato non fornisce alcun contributo all'incremento delle entrate fiscali, dall'altro accresce la dimensione del Pil. La pressione fiscale, infatti, rammentano ancora da Mestre, "si ottiene dal rapporto tra le entrate fiscali e il Pil: se dalla ricchezza prodotta togliamo la componente riconducibile all'economia 'in nero', il risultato del rapporto in capo ai contribuenti onesti aumenta, consegnandoci un carico fiscale 'reale' molto superiore a quello 'ufficiale' (48% anzichè 42,1%).

Aumento dell'Iva dal 2020?

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Tuttavia, la vera questione, secondo gli artigiani mestrini, "sarà dove trovare le risorse per realizzare questa decisa riduzione delle imposte. Se difficilmente saranno compensate da un risparmio della spesa, il ministro Tria, seppur critico sulla flat tax, pare abbia in mente la soluzione: il taglio dell'Irpef potrebbe essere in parte coperto da un aumento dell'Iva, anche in forma selettiva". Operazione che, secondo la CGIA, favorirebbe sicuramente le esportazioni, come sostengono i tecnici di via Venti Settembre, ma penalizzerebbe i consumi interni. E a pagare il conto non sarebbero solo le famiglie, in particolar modo quelle meno abbienti, ma anche gli artigiani, i piccoli commercianti e i lavoratori autonomi che vivono quasi esclusivamente di domanda interna.

Nell'ipotesi peggiore, concludono gli artigiani, "se non verranno recuperati entro la fine di quest'anno 23,1 miliardi di euro, l'aliquota ordinaria passerà dal 22 al 25,2 per cento, mentre quella ridotta salirà dal 10 al 13 per cento".


Foto: 123rf.com
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