Per la Cassazione, deve risarcire il proprio cliente il commercialista che non prospetta tutte le alternative possibili per risolvere il suo problema fiscale

di Annamaria Villafrate - L'ordinanza n. 14387/2019 (sotto allegata) della Cassazione riconosce come dovuto il risarcimento del danno richiesto a un commercialista da parte di un soggetto intenzionato a uscire da una società di cui era socio lavoratore. A quest'ultimo infatti il commercialista aveva prospettato, per recedere dalla società, un costo di circa 85.000 euro. Una volta chiusa la procedura però il professionista lo informava che in realtà avrebbe dovuto sborsare ben 117.000 euro. Per gli Ermellini il divario tra le due somme prospettate è riconducibile a un errore del commercialista, che avrebbe dovuto fornire una consulenza, non solo sulla possibilità di abbandonare la società, ma anche sulla soluzione più conveniente per farlo, mentre invece si è limitato a prospettare solo il recesso, con il conseguente maggior esborso di denaro da parte del cliente, che ora merita di essere risarcito.


La vicenda processuale

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Un soggetto si rivolge a un commercialista per saper come uscire da una società di cui è socio lavoratore. Il commercialista gli consiglia di recedere e farsi liquidare la quota piuttosto che cederla agli altri soci, perché questa operazione gli sarebbe costata circa 85.000 euro di tasse.

Il socio lavoratore segue il consiglio del professionista, recede quindi dalla società, ma conclusa l'operazione viene informato dal consulente fiscale che in realtà l'imposizione fiscale sarebbe ammontata a 117.000, 00, non solo, da lì a pochi mesi avrebbe ricevuto un accertamento da parte del fisco per l'importo complessivo di 190.000,00 euro.

Il povero cliente, a questo punto, conviene in giudizio il professionista, ritenendo che il suo errore professionale gli abbia provocato un danno pari alla somma che ha dovuto pagare all'Erario.

In primo grado la domanda viene accolta, in appello invece la sentenza viene ribaltata, perché la corte non ravvisa gli estremi della responsabilità professionale del commercialista. Il soccombente ricorre in Cassazione.

Il commercialista deve prospettare al cliente alternative e costi

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La Cassazione con l'ordinanza n. 14387/2019 accoglie due motivi del ricorso e cassa la sentenza

, rinviando alla Corte d'Appello competente, in diversa composizione, precisando nella motivazione che: "Il commercialista, quale che sia l'oggetto specifico della sua prestazione, ha l'obbligo di completa informazione del cliente, e dunque ha l'obbligo di prospettargli sia le soluzioni praticabili che, tra quelle dal cliente eventualmente desiderate, anche quelle non praticabili o non convenienti, così da porlo nelle condizioni di scegliere secondo il migliore interesse."

Gli Ermellini rilevano come dagli atti è emerso che il professionista ha prospettato all'odierno ricorrente solo l'ipotesi del recesso, senza informarlo della difficoltà eventuale che si sarebbe potuta verificare seguendo la strada della cessione. In questo modo è stato impedito al cliente di decidere autonomamente, visto che comunque aveva manifestato la volontà di uscire dalla società. Egli in pratica non è stato messo nella condizione di conoscere costi e conseguenze delle due scelte alternative.

Spetta al commercialista dimostrare che l'errore non era a lui imputabile

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Non solo, il consulente è incorso nell'errore professionale nel momento in cui, dalla somma prospettata inizialmente di 88.000 euro al cliente, costui si è trovato in realtà a dover pagare 199.000 euro. "Già questa divergenza, da sola, può dirsi frutto di un errore del consulente e quindi costituisce inadempimento al suo obbligo di valutare il costo fiscale della uscita dalla società, a prescindere dalle valutazioni sull'esistenza di alternative."

Secondo l'art. 1218 c.c. il creditore è tenuto ad allegare l'inadempimento, mentre al debitore spetta l'onere di dimostrare la non imputabilità. Ora, nel caso di specie il cliente ha debitamente provato e allegato il calcolo errato del professionista, mentre quest'ultimo non ha provato che l'errore non era a lui imputabile, è toccato al giudice ricercare tale prova liberatoria nel corso del processo.

Scarica ordinanza Cassazione n. 14387/2019

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