L'abbandono dei rifiuti animali configura disastro ambientale se per mesi produce sversamento di percolato, emissione gas tossici e diffusione di agenti patogeni

di Annamaria Villafrate - Abbandonare rifiuti animali per mesi esponendoli agli agenti atmosferici costituisce disastro ambientale. Nella sentenza n. 40718/2018 (sotto allegata) gli Ermellini precisano infatti che non è necessario che il macro evento dannoso, per essere considerato disastro, si realizzi e sia percepibile in un arco temporale ristretto. Esso può anche concretarsi un intervallo temporale più ampio, durante il quale si realizza lo sversamento continuo di rifiuti idoneo a cagionare un danno ambientale di eccezionale gravità.

La vicenda processuale

Il Tribunale di Cagliari condanna il titolare di una s.r.l a tre anni di reclusione per i reati di cui agli artt. 81 e 434 c.p capo a) e 256, comma 1, lett. b), dlgs. n. 152 del 2006 capo b), per la raccolta dei rifiuti diversi dai sottoprodotti di origine animale. La Corte d'appello di Cagliari conferma la sentenza di primo grado. L'accumulo di SOA ha comportato, secondo il giudice d'appello, un evento distruttivo grave, complesso ed esteso, che si è tradotto in un fenomeno pervasivo e ingovernabile di compromissione globale dell'ambiente, anche se non irreversibile. Avverso la sentenza della Corte d'Appello ricorre il titolare della s.r.l.

L'abbandono di rifiuti animali configura il reato di disastro ambientale

Con sentenza n. 40718/2018 la Cassazione respinge il ricorso.

Tra i vari motivi, con il terzo il ricorrente contesta la sussistenza dell'elemento oggettivo dei reati agli artt. 81 e 434 c.p capo a). La Cassazione respinge anche questo motivo. La Corte d'appello infatti ha correttamente rilevato la sussistenza del danno in quanto i SOA sono "potenziali diffusori di agenti patogeni trasmissibili anche all'uomo" e rappresentano un "importante fattore di rischio di dispersione nell'ambiente di malattie infettive degli animali, potenzialmente pericolose anche per gli esseri umani." Motivo per il quale, tali rifiuti dovevano essere trattati con particolare attenzione, evitando l'esposizione agli agenti atmosferici, la dispersione nell'ambiente "e l'assenza di contatto con potenziali vettori (quali la fauna selvatica), in grado di farsi portatori nei confronti dell'uomo di eventuali patogeni."

Le missioni e la tracimazione del percolato nell'agglomerato industriale e nella campagna limitrofa, tra il luglio e il novembre 2011, risultavano talmente intense da rendere impossibile ai lavoratori lo svolgimento delle normali attività. Integra pertanto il disastro innominato dell'art. 434 c.p denominato altro disastro anche "l'evento, non visivamente ed immediatamente percepibile, che si realizza in un periodo molto prolungato, sempre che comunque produca una compromissione delle caratteristiche di sicurezza, di tutela della salute e di altri valori della persona e della collettività tale da determinare una lesione della pubblica incolumità; ne consegue che rientrano nella nozione di disastro innominato pure i fenomeni derivanti da immissioni tossiche che incidono sull'ecosistema e sulla qualità dell'aria respirabile, determinando imponenti processi di deterioramento, di lunga e lunghissima durata, dell'habitat umano (...) Il delitto di disastro innominato, che è reato di pericolo a consumazione anticipata, si perfeziona, nel caso di contaminazione di siti a seguito di sversamento continuo e ripetuto di rifiuti di origine industriale, con la sola immutatio loci, purché questa si riveli idonea a cagionare un danno ambientale di eccezionale gravità."

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Cassazione penale - sentenza n. 40718-2018

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