Tra le opere di semplificazione normativa, è da annoverarsi l'istituto della Scia, il quale consente al cittadino di avviare la propria attività senza l'intermediazione della P.A. Una guida alla disciplina e agli strumenti del terzo per difendersi
di Giuseppe Rizzi - La materia edilizia è al centro di un'imponente opera di "deburocraticizzazione" nel nostro ordinamento: le esigenze di celerità, imposte dai frenetici ritmi del commercio e degli investimenti, hanno indotto il legislatore a rimuovere più di un ostacolo alla effettiva esplicazione di quella che può essere definita una delle più importanti manifestazioni del diritto del cittadino all'iniziativa economica di cui all'art. 41 della Costituzione.


La "deburocraticizzazione" dell'edilizia

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La materia è regolata dal d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 che, all'art. 6, enuncia talune attività che possono essere svolte senza alcun titolo abilitativo, nè comunicazione di inizio attività, nel rispetto della normativa vigente e delle prescrizioni contenute negli strumenti urbanistici comunali. Per tali motivi, queste ipotesi vengono inquadrate nell'ambito di quell'attività che viene definita "attività edilizia cd. libera".

Titoli abilitativi e segnalazioni: due facce della stessa medaglia

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Tra i titoli abilitativi richiesti dalla legge, invece, può richiamarsi il permesso di costruire, certamente quello più importante disciplinato dal d.P.R. n. 380 del 2001.

Il permesso di costruire è il provvedimento legittimante le trasformazioni urbanistiche ed edilizie del territorio, rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi ne abbia titolo per richiederlo.

Con il permesso di costruire, l'Amministrazione comunale esercita un controllo di regolarità in ordine agli interventi di più intensa trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio.

Il permesso di costruire, invece, non è necessario per gli interventi edilizi che non incidono sull'edificato già esistente, per i quali è sufficiente una comunicazione d'inizio dei lavori nel caso di attività liberamente eseguibili, oppure una segnalazione certificata di inizio attività che asseveri la conformità dell'opera alla disciplina applicabile.

Dunque, nell'ambito della disciplina dell'edilizia, è possibile distinguere il permesso di costruire, richiesto, come detto, per gli interventi primari, dalla segnalazione certificata di inizio attività (d'ora in avanti, S.C.I.A.), che invece si rivolge a quelle modificazioni che non interessino direttamente l'urbanistica o la pianificazione del territorio, come ad esempio l'avvio di un'attività commerciale all'interno di locali che abbiano già ottenuto l'autorizzazione richiesta dalla legge.

Permesso di costruire e S.C.I.A. sono titoli autorizzatori che si differenziano fra loro per la natura del procedimento, pur rispondendo alla medesima ratio, ossia quella di assicurare che il richiedente osservi nel progettare e realizzare l'intervento edilizio, sia la normativa vigente che le prescrizioni dei piani generali attuativi.

Le segnalazioni: Scia ex l. n. 241/1990 e Scia edilizia

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La S.C.I.A. è un istituto generalizzato dalla legge sul procedimento amministrativo all'art. 19 L.241 del 1990, le cui origini però sono remote nel settore dell'edilizia: già l'art. 27 del r.d. n. 1265 del 1934 (T.U. delle leggi sanitarie) prevedeva, infatti, un meccanismo simile alla S.C.I.A.

La prima vera regolamentazione dell'istituto la si deve agli artt. 7 - 15 del d.l. n. 398 del 1993, che contenevano un'elencazione tassativa degli interventi edificatori che potevano essere realizzati mediante una semplice presentazione alla P.A. competente della denuncia ex art. 19 della legge sul procedimento amministrativo.

La legge 124/2015 ha modificato il comma 3 e 4 dell'art.19 della legge 241/90 in materia di segnalazione certificata di inizio dell'attività.

La nuova disciplina stabilisce che, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti di legge per lo svolgimento dell'attività soggetta a SCIA, nel termine di 60 giorni dal ricevimento della scia, l'amministrazione adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa salvo che non sia possibile conformare l'attività intrapresa e i suoi effetti alla normativa vigente; nel qual caso, l'amministrazione, invita il privato a provvedere prescrivendo le misure necessarie per la conformazione con la fissazione di un termine non inferiore a 30 giorni nonché disponendo, nel frattempo, la sospensione dell'attività intrapresa.

Dispone, infatti, il nuovo comma 3: L'amministrazione competente, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti di cui al comma 1, nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione di cui al medesimo comma, adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa. Qualora sia possibile conformare l'attività intrapresa e i suoi effetti alla normativa vigente, l'amministrazione competente, con atto motivato, invita il privato a provvedere, disponendo la sospensione dell'attività intrapresa e prescrivendo le misure necessarie con la fissazione di un termine non inferiore a trenta giorni per l'adozione di queste ultime. In difetto di adozione delle misure stesse, decorso il suddetto termine, l'attività si intende vietata.

In precedenza, invece, l'amministrazione competente, nei 60 giorni dal ricevimento della segnalazione, poteva adottare soltanto provvedimenti di divieto di prosecuzione e rimozione degli eventuali effetti dannosi salvo che ove ciò fosse possibile l'interessato non provvedesse di sua iniziativa a conformare alla normativa vigente la propria attività e i suoi effetti.

Disponeva, infatti, il precedente comma 3 dell'art 19 ora abrogato: L'amministrazione competente, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti di cui al comma 1, nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione di cui al medesimo comma, adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa, salvo che, ove ciò sia possibile, l'interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro un termine fissato dall'amministrazione, in ogni caso non inferiore a trenta giorni.

In sostanza, prima della riforma, il potere di individuare le misure necessarie per la conformazione a legge dell'attività intrapresa non era dato alla pubblica amministrazione competente, ma era un'iniziativa lasciata al privato interessato mentre all'amministrazione rimaneva soltanto il potere di assegnare un termine.

Ovviamente appare molto più coerente con l'esigenza di tutela della legalità, affidare all'amministrazione il potere di individuare le misure necessarie per la conformazione a legge dell'attività medesima.

Addirittura, nel nuovo testo del comma 3 dell'art. 19, il divieto di prosecuzione e la rimozione degli effetti dannosi dell'attività intrapresa possono essere pronunciati solo ove non sia possibile, la conformazione a legge; di conseguenza , è evidente che, in caso di accertata carenza dei presupposti e dei requisiti di legge, nei 60 giorni dal ricevimento della segnalazione, l'amministrazione dovrà innanzitutto valutare la possibilità di conformare a legge l'attività intrapresa, e solo ove non fosse possibile alcuna misura di conformazione, motivando proprio su tale impossibilità di conformazione, l'amministrazione potrà legittimamente vietare in modo definitivo la prosecuzione dell'attività.

L'atto motivato di divieto, dunque, dovrà essere motivato proprio con riferimento alle ragioni dell'impossibile conformazione mentre l'atto motivato di conformazione, dovrà spiegare le corrispondenza alla legge delle misure di conformazione individuate fissando per la loro realizzazione un termine congruo.

La legge si limita a stabilire solo la durata minima di tale termine congruo, 30 giorni, ma non quella massima proprio per consentire all'amministrazione di assegnare un termine di volta in volta adeguato alle misure di conformazione concretamente prescritte.

Nel frattempo, durante la realizzazione delle misure di conformazione l'attività intrapresa dovrà essere sospesa.

In merito al procedimento da seguire in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti di legge della segnalazione della SCIA, occorre considerare che, per giurisprudenza ormai costante, dopo molteplici contrasti, a tale procedimento non sarebbe applicabile l'art.10 bis sul preavviso di rigetto perché si tratta di un aggravamento procedimentale vietato in generale dal secondo comma dell'art.1 della legge 241/90 e pertanto suscettibile di interpretazione e applicazione restrittive limitate ai soli procedimenti ad istanza di parte tra cui non rientra la SCIA.

La scia, infatti è un atto privato come conferma anche il comma 6-ter dell'art. 19 il quale dispone infatti che: La segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili; pertanto, il decorso del termine di legge senza provvedimenti negativi, non equivale ad un'autorizzazione silenziosa in quanto il titolo legittimante deriva direttamente dalla legge previa segnalazione.

Occorre però evidenziare che al fine di fissare le misure più opportune di conformazione e soprattutto di stabilire il termine più idoneo, un confronto procedimentale con i privati interessati potrebbe svolgere un importante ruolo collaborativo ai fini della più corretta determinazione del contenuto del provvedimento amministrativo e soprattutto deflattivo del futuro contenzioso.

Ad ogni modo sarà il responsabile del procedimento, di volta in volta, a valutare l'opportunità di una partecipazione procedimentale non necessaria per legge ovvero, ai sensi del 21 octies secondo comma della legge 241/90, evitabile laddove si possa dimostrare in giudizio che il contenuto del provvedimento finale non sarebbe potuto essere diverso.

Ciò vale soprattutto con riferimento al provvedimento di sospensione dell'attività intrapresa che l'amministrazione deve disporre contestualmente alle misure di conformazione da attuare entro un determinato termine.

Tale sospensione è un atto vincolato d'ufficio e dovrebbe essere preceduto dalla comunicazione di avvio evitabile però ai sensi dell'art. 21 octies secondo comma della legge 241/90 il quale dispone che "Non e' annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non e' comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato"

In generale, il provvedimento di sospensione dell'attività intrapresa con l'imposizione delle misure di conformazione trattandosi di provvedimento d'ufficio a contenuto vincolato a fronte dell'accertata carenza dei requisiti e dei presupposti di legge, non necessita di comunicazione di avvio di procedimento la cui carenza, comunque, a tutto voler concedere, configurerebbe non un'illegittimità ma solo un'irregolarità inidonea a legittimare l'annullamento dell'atto ai sensi dell'art. 21 octioes 2 comma della legge 241/90; tuttavia, in omaggio alla "duttilità" del procedimento amministrativo introdotta dalla legge 241/90 che ha rimesso alla discrezionalità del responsabile del procedimento in relazione alle peculiarità di ogni singola istruttoria, individuare i passaggi procedurali di volta in volta, necessari "per l'adeguato e sollecito svolgimento dell'istruttoria" (art. 6 lett.b), ove l'accertata carenza non sia così certa, allora sarà il responsabile del procedimento a valutare l'opportunità di anticipare le ragioni del diniego comunicando contestualmente l'avvio del procedimento di sospensione dell'attività per le misure di conformazione, in modo da collaborare con l'interessato anche in funzione deflattiva del contenzioso, per l'accertamento della carenza riscontrata e per la migliore individuazione delle modalità e della tempistica per la conformazione.

In sostanza, l'aggravamento degli adempimenti connessi alla partecipazione procedimentale sarà attuato quando avrà come contropartita il migliore svolgimento delle proprie competenze da parte dell'amministrazione e sarà evitato quando dalla partecipazione non potrebbe oggettivamente derivare alcun elemento istruttorio utile.

Il nuovo comma 4 dell'art.19 stabilisce che decorsi i 60 giorni dal ricevimento della segnalazione senza che l'attività intrapresa sia stata vietata ovvero senza che siano state ordinate misure per la conformazione a legge, l'amministrazione competente può adottare comunque i medesimi atti (cioè l'atto di divieto ovvero la sospensione dell'attività e le misure di conformazione) in presenza delle condizioni previste dal 21nonies, vale a dire ove sussistano ragioni di pubblico interesse da considerarsi prevalenti rispetto agli interessi dei destinatari e dei controinteressati, nonché entro un termine ragionevole, comunque non superiore a 18 mesi.

Dunque dal 28 agosto 2015, pur in presenza di ragioni di pubblico interesse superiori e prevalenti rispetto alla sfera degli interessati e dei controinteressati, tuttavia oltre il termine di 18 mesi, l'amministrazione competente non potrà più né vietare l'attività intrapresa e neppure predisporre misure per la sua conformazione a legge con contestuale sospensione.

Il termine di 18 mesi decorre non dal ricevimento della SCIA bensì dalla scadenza dei primi 60 dal ricevimento della SCIA, ossia dalla scadenza del termine per adottare i motivati provvedimenti di divieto o di conformazione con sospensione senza alcun bisogno di motivazioni sull'interesse pubblico prevalente in bilanciamento con gli interessi dei destinatari e dei controinteressati.

Pertanto le amministrazioni competenti debbono organizzare la tempistica della propria attività istruttoria sapendo che, entro 60 giorni dal ricevimento della SCIA, potranno vietare l'attività intrapresa ovvero sospenderla ed ordinare entro un termine congruo la conformazione a legge semplicemente motivando sul difetto dei requisiti e dei presupposti di legge (oltre che sulle ragioni dell'impossibilità di conformazione in caso di divieto) mentre dopo il 60° giorno dal ricevimento della SCIA, per adottare provvedimenti di divieto o di conformazione dell'attività intrapresa, oltre alla motivazione sulla carenza dei requisiti o dei presupposti di legge, dovranno motivare anche sull'interesse pubblico prevalente in bilanciamento con l'interesse degli interessati e dei controinteressati.

Una volta decorsi 18 mesi, o meglio una volta decorsi complessivamente 24 mesi (6 mesi +18 mesi) l'amministrazione che intervenisse in autotutela adotterebbe non atti illegittimi per tardività ma atti nulli per difetto di attribuzione trattandosi con evidenza di termine perentorio in senso tecnico, decorso il quale, cioè, si perde il potere.

Tale conclusione è confermata anche dall'abrogazione ad opera della legge 124/2015 del secondo comma dell'art.21 della legge 241/90 il quale disponeva che le sanzioni attualmente previste in caso di svolgimento dell'attività in carenza dell'atto di assenso dell'amministrazione o in difformità di esso, si applicano anche nei riguardi di coloro che diano inizio all'attività ai sensi degli artt.li 19 e 20 in mancanza dei requisiti richiesti o comunque in contrasto con la normativa vigente.

A seguito dell'abrogazione di tale disposizione, le attività soggette a segnalazione certificata di inizio di attività, SCIA, ovvero a silenzio-assenso, sono attività che, anche in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti di legge, tuttavia non possono più essere vietate dopo l'inutile decorso di 20 mesi complessivi vale a dire dopo l'inutile decorso del doppio termine: i primi 60 giorni per l'adozione silenziosa del provvedimento di diniego ovvero per l'adozione espressa del divieto di prosecuzione e/o di sospensione dell'attività con obbligo delle misure di conformazione in caso di SCIA nonché i successivi 18 mesi o per l'esercizio dell'autotutela ossia per l'annullamento del silenzio assenso e il diniego espresso dell'autorizzazione richiesta oppure per l'adozione del divieto di prosecuzione ovvero dell'obbligo di conformazione con l'aggiunta però della motivazione sull'interesse pubblico prevalente rispetto agli interessi dei privati e dei controinteressati coinvolti.

Ciò dovrebbe indurre le amministrazioni ad un sollecito esercizio dei loro poteri soprattutto in funzione preventiva di potenziali danni per il patrimonio artistico e culturale, per l'ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale all'amministrazione che erano gli unici casi in cui, nella precedente versione dell'art. 19 comma 4, prima della riforma e delle abrogazioni della legge 124/2015, era consentito alle amministrazioni di intervenire in autotutela dopo l'inutile decorso dei termini per provvedere e previo motivato accertamento dell'impossibilita' di tutelare comunque tali interessi mediante conformazione dell'attività dei privati alla normativa vigente.

Adesso neppure la necessità di tutelare questi interessi pubblici potrebbe legittimare un intervento delle amministrazioni rimaste inerti sulla scia o sull'istanza suscettibile di silenzio-assenso.

Si tratta di una importante disposizione anche nel senso della certezza delle situazioni giuridiche.

Ovviamente laddove la SCIA fosse stata presentata con false rappresentazioni dei fatti o con false dichiarazioni sostitutive o comunque con atti falsi e mendaci allora il divieto di prosecuzione dell'attività come pure l'annullamento in autotutela di qualsiasi provvedimento autorizzatorio in senso lato fondato sul falso e sul mendace è possibile in ogni tempo.

In ambito edilizio, la S.C.I.A. oggi è disciplinata dagli artt. 22 e ss. del Testo Unico dell'edilizia (d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, da adesso più semplicemente T.U.E.).

In particolare, l'art. 22 del T.U.E. individua gli interventi edilizi cd. minori, in quanto non incidono direttamente sull'assetto urbanistico, essendo già conformi alle previsioni richieste dalla legge, che possono essere realizzati mediante la presentazione della cd. segnalazione certificata di inizio attività.

Il primo comma della disposizione, in particolare, consente di realizzare mediante S.C.I.A. tutti gli interventi non riconducibili all'elenco di cui agli artt. 6 e 10 del T.U.E., così instaurando un regime residuale per la S.C.I.A.

Il secondo comma, invece, consente l'esecuzione mediante S.C.I.A. delle varianti a permessi di costruire già rilasciati, purché le stesse non incidano sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, non modifichino le destinazioni d'uso e la categoria edilizia, non alterino la sagoma e non violino le eventuali prescrizioni contenute nell'esistente titolo abilitativo.

Il successivo art. 23, invece, attiene al procedimento che l'interessato deve osservare per intraprendere un'attività, presentando la S.C.I.A. in alternativa (e non in sostituzione) al permesso di costruire.

La questione della natura giuridica della S.C.I.A. edilizia

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Una delle problematiche più dibattute in dottrina e giurisprudenza riguarda la natura giuridica della S.C.I.A., i cui precipitati sono suscettibili di portare a conclusioni decisamente opposte, in punto di tutela del terzo leso dall'avvio di un'attività mediante segnalazione certificata di cui all'art. 22 T.U.E.

Gli orientamenti che sono venuti a crearsi sono essenzialmente due.

Secondo il primo, la S.C.I.A. è da considerarsi atto privato, in quanto trattasi di una dichiarazione proveniente dal cittadino e rivolta all'amministrazione, cui la legge ricollega effetti tipici, corrispondenti a quelli del permessi di costruire.

L'istituto in questione potrebbe, quindi, essere considerato alla stregua di una autocertificazione che attesti la sussistenza delle condizioni stabilite dalla legge per la realizzazione dell'intervento da parte del privato, su cui la P.A. competente esercita un controllo, anche di natura inibitoria.

Secondo altro e diverso orientamento, invece, la S.C.I.A. avrebbe natura provvedimentale, in quanto una volta decorso il termine per esercitare il potere inibitorio, la P.A. sarebbe legittimata ad assumere determinazioni in via di autotutela ai sensi di cui all'art. 21-nonies L. 241/90, ciò quindi presupponendo un provvedimento amministrativo.

Un terzo orientamento, infine, inserisce la S.C.I.A. all'interno di un fattispecie complessa a formazione progressiva, che per effetto del decorso del termine assegnato dalla legge all'amministrazione, si conclude con un atto deliberativo tacito, avente quindi natura provvedimentale, con i conseguenti riflessi anche sul pinao della giurisdizione e dell'azione esperibile da parte del denunciante e dei terzi.

Oggi, con l'entrata in vigore del d. lgs. n. 126 del 2016, è stato rafforzato l'inquadramento della S.C.I.A. come istituto non provvedimentale, che si inserisce in un quadro informato ai principi di liberalizzazione e di semplificazione, nonchè ai principi di certezza dei rapporti giuridici e di tutela dell'affidamento legittimo.

In particolare, il Consiglio di Stato ha osservato che lo scopo perseguito dal legislatore risulterebbe triplice, vale a dire: favorire le attività dei soggetti privati, mediante un rafforzamento degli istituti di liberalizzazione e semplificazione; assicurare maggiore certezza a livello interpretative per il funzionamento degli istituti di semplificazione, mediante una formulazione migliore delle regole che riguardano la S.C.I.A.; ed infine, garantire un miglior funzionamento dei meccanismi della S.C.I.A. e del silenzio assenso.



Tutela del terzo tra natura giuridica e tecniche processuali esperibili

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La questione della natura giuridica della S.C.I.A. si riflette, a valle, sulla individuazione degli strumenti di tutela esperibili dal privato che sia stato leso dall'avvio di un'attività mediante S.C.I.A.

In particolare, la delicatezza del problema deriva dall'esigenza di bilanciare due importanti interessi contrapposti, ossia la semplificazione e l'effettività di tutela.

Si richiede, quindi, per un verso, la semplificazione per garantire l'efficienza e l'efficacia dell'agire amministrativo; per altro verso, però, la semplificazione non può comportare la lesione delle posizioni giuridiche soggettive dei soggetti pregiudicati dalla realizzazione dell'intervento mediante S.C.I.A.

Ebbene, la protezione delle situazioni soggettive proprie dei soggetti diversi dal dichiarante si collega alla circostanza per cui, nella dichiarazione in esame, l'agire pubblicistico non si concretizza in un provvedimento formale che nella parte motiva dia conto delle ragioni giustificative delle scelte del pubblico potere e che, soprattutto, sia passibile di impugnazione giurisdizionale.

Il problema della natura giuridica dell'istituto in esame dà luogo a soluzioni diverse per quanto attiene alla tutela del terzo, a seconda che alla S.C.I.A. venga attribuita natura pubblicistica ovvero privatistica.

In proposito, per l'orientamento che privilegia una lettura pubblicistica dell'istituto, la tutela dovrebbe seguire lo schema del giudizio impugnatorio, il che sarebbe anche conforme alle esigenze di parità di trattamento rispetto al caso in cui si intenda confutare un provvedimento espresso assentivo di un'analoga attività.

In particolare, tale tesi troverebbe fondamento nella nuova formulazione dell'art. 19 della legge sul procedimento amministrativo, in relazione all'art. 21-nonies.

Ebbene, la S.C.I.A. sarebbe una sorta di autorizzazione implicita a realizzare l'atitvità in virtù di una valutazione legale tipica, con la conseguenza che i terzi potrebbero impugnare direttamente il titolo abilitativo formatosi per silentium.

Coloro, invece, che propendono per la natura privatistica dell'istituto, sostengono che le esigenze di parità di trattamento sarebbero compromesse, atteso che il terzo dovrebbe in un primo momento sollecitare l'intervento inibitorio da parte della P.A., e poi soltanto successivamente sarebbe legittimato ad agire avverso il silenzio.

Da quanto appena illustrato, deriva certamente che la tutela del terzo incontra limiti legati, per un verso, all'assenza di un provvedimento da impugnare e, per altro verso, alla scadenza del termine perentorio previsto per l'esercizio del potere inibitorio da parte della P.A., così come previsto dall'art. 19, comma terzo, della legge sul procedimento amministrativo.

In proposito, secondo una ricostruzione giurisprudenziale, che considera l'attuale S.C.I.A. come atto del privato, a fronte del silenzio serbato dalla P.A. nei trenta giorni successivi alla presentazione della segnalazione, il terzo che ritenga di subire pregiudizi, sarebbe tenuto a sollecitare l'esercizio del potere di autotuela amministrativa e, nell'ipotesi di inerzia, poi, sarebbe legittimato ad impugnare innanzi al G.A. il silenzio-inadempimento.

Precipitato del riconoscimento della natura privatistica della S.C.I.A. sarebbe, quindi, l'impossibilità per il terzo di impugnare direttamente l'atto, in quanto esso sarebbe in tal modo privo del carattere provvedimentale.

Per coloro, invece, che sono a favore della tesi pubblicistica, a fronte dell'inerzia della P.A., il terzo che si fosse ritenuto leso dall'esercizio dell'attività da parte del denunciante, avrebbe potuto attivare direttamente il giudizio di cognizione diretto all'accertamento dell'insussistenza dei requisiti e, quindi, dell'illegittimità del comportamento silente tenuto dall'Amministrazione.

Una rispota al problema relativo alla tutela del terzo leso dall'esercizio dell'attività intrapresa a seguito della segnalazione di inizio attività è stata fornita dalla celebre sentenza dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n.15 del 2011.

Ed invero, a seguito dei contrasti in giurisprudenza e in dottrina sul tema in questione, l'Adunanza Plenaria, nella suddetta pronuncia, ha ritenuto che la S.C.I.A. non rappresenti un provvedimento amministrativo a formazione tacita, bensì un atto privato volto a comunicare l'intenzione di intraprendere un'attività direttamente ammessa dalla legge.

In altri termini, con la pronuncia appena ricordata, il Supremo Consesso di giudistizia amministrativa ha paragonato l'inerzia della P.A., potratta oltre i trenta giorni, ad un provvedimento per silentium con cui l'Amministrazione riscontra che l'attività è stata dichiarata in presenza dei presupposti di legge e, quindi, decide di non impedire l'inizio o la protrazione dell'attività dichiarata, paragonando il silenzio ad un provvedimento tacito di diniego dell'azione inibitoria, così devolvendo la tutela del terzo all'esperimento di un'azione impugnatoria ex art. 29 del c.p.a.

Qual è il dies a quo per l'azione di annullamento?

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Il termine previsto dall'art. 29 del d. lgs. n. 104 del 2010, ossia sessanta giorni, decorrerebbe dal giorno in cui la costruzione realizzata riveli in modo certo ed univoco le essenziali

caratteristiche proprie dell'opera.

In dottrina, è stato osservato che i Giudici di Palazzo Spada avrebbero adottato una soluzione rispettosa dei principi di certezza dei rapporti giuridici e di tutela dell'affidamento, riconoscendo al terzo una tutela piena ed immediata, in ossequio agli artt. 24 e 113 della Costituzione. In questo modo, sono state superate le perplessità del Consiglio di Stato che aveva riconosciuto, quale strumento di tutela per il terzo, l'esperibilità di un'azione di accertamento esercitabile entro lo stesso termine di decadenza di sessanta giorni previsto per l'azione di annullamento.

Il legislatore del 2011 che ha introdotto i commi 6-bis e 6-ter all'art. 19, tuttavia, ha disatteso, seppur parzialmente, le indicazioni del Consiglio di Stato.

Nonostante, infatti, l'adesione alla tesi privatistica della S.C.I.A., escludendo il comma 6-ter che la suddetta segnalazione costituisca un provvedimento amministrativo tacito, come la stessa giurisprudenza, nella citata pronuncia, ha avuto modo di segnalare, il legislatore ha previsto, come unico strumento di tutela del terzo, la proposizione dell'azione avverso il silenzio della P.A. ex art. 31 del c.p.a.

Tale impostazione legislativa porterebbe, però, a considerare la S.C.I.A. atto avente natura provvedimentale in quanto, affinché vi sia un silenzio-inadempimento, sarebbe necessaria la previsione di un obbligo positivo di agire in capo alla P.A.: pertanto, l'estraneità dell'amministrazione rispetto all'attività posta in essere dal privato non sembra più accettabile, data la necessità di una presa di posizione positiva della stessa amministrazione, in mancanza della quale si può ricorrere al rito avverso il silenzio.

Il legislatore del 2016 e le soluzioni adottabili de jure condendo

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Il problema della tutela del terzo è stato oggetto di attenzione da parte del legislatore nazionale anche di recente, con il d. lgs. n. 126 del 2016.

In proposito, la Commissione Speciale del Consiglio di Stato - chiamata a rendere parere sullo schema del d. lgs. in parola, ha sottolineato l'esigenza di ricercare soluzioni per riconoscere una effettiva tutela del terzo che, però, non vanifichino l'esigenza di certezza definitiva sottesa ai nuovi termini massimi di cui all'art. 21-nonies L. 241/1990, e che siano compatibili con il principio della liberalizzazione.

Ciò potrebbe condurre ad una tutela speciale che farebbe leva sul rimedio dell'azione di accertamento, vale a dire un accertamento da parte del giudice in oridne all'assenza dei requisiti previsti dalla legge per realizzare un'attività soggetta a S.C.I.A.

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