Dopo l'esercizio del diritto di recesso, il recedente può chiedere la risoluzione del contratto ma purché ciò non sia contrario a buona fede e non integri un'ipotesi di abuso del diritto
di Enrico Pattumelli - L'esercizio del diritto di recesso preclude alla parte di avvalersi della clausola risolutiva espressa prevista nel contratto? Inoltre, la richiesta di adempiere a delle obbligazioni ulteriori e diverse rispetto a quelle pattuite costituisce causa di risoluzione? A questa e ad altre domande ha risposto la Cassazione con l'ordinanza n. 16823/2018 (sotto allegata).

La vicenda

Una Srl stipulava un contratto di concessione di vendita e di servizio assistenza con la Rover Italia.

Tre anni più tardi, Land Rover Italia diveniva cessionaria del ramo d'azienda e subentrava nel contratto. Quest'ultima società manifestava la propria volontà di recedere, rilasciando un preavviso di 24 mesi.

Nonostante il preavviso di recesso, la Land Rover chiedeva alle concessionarie di uniformarsi a determinate direttive, impartite ai fini dell'organizzazione delle proprie strutture, per il lancio di una nuova vettura.

La società non si adeguava a siffatte disposizioni sostenendo che l'adeguamento non fosse previsto dal contratto ed i costi da sopportare risultavano essere eccessivamente onerosi e non ammortizzabili nel breve lasso di tempo rimanente in virtù del recesso già manifestato.

A fronte di tale rifiuto, la Land Rover Italia comunicava la risoluzione immediata del contratto per inadempimento, avvalendosi della clausola risolutiva espressa inserita nel medesimo negozio.

La società agiva così in giudizio per far dichiarare l'ingiustificata risoluzione del contratto e ottenere il consequenziale risarcimento dei danni.

Le questioni di diritto

L'esercizio del diritto di recesso

, preclude alla parte recedente di avvalersi della clausola risolutiva espressa prevista nel contratto?

La richiesta di adempiere a delle obbligazioni che appaiono essere ulteriori e diverse rispetto a quelle pattuite costituiscono, in caso di inadempimento, una causa di risoluzione?

Richiedere l'adempimento di ulteriori obblighi, nonostante sia stato rilasciato un preavviso di recesso, nell'ottica di poter perseguire esclusivamente i propri interessi economici, può integrare una violazione del principio di buona fede e del dovere di solidarietà?

La posizione della Cassazione

La Corte di legittimità con l'ordinanza n. 16823 del 2018 (sotto allegata), fornisce gli strumenti utili per rispondere ai predetti interrogativi e ciò rappresenta un'occasione per ribadire la propria posizione su temi attuali e molto dibattuti.

La buona fede di cui ci si occupa è da intendersi in senso oggettivo, quale sinonimo di lealtà e di correttezza.

Tale parametro viene richiamato in ambito contrattuale in differenti disposizioni come, ad esempio: art. 1337 c.c. nella fase di formazione del contratto; art. 1175 c.c. per l'esecuzione delle obbligazioni; art. 1375 c.c. per l'esecuzione dei contratti; art. 1460 co 2 per poter opporre l'eccezione di inadempimento.

La buona fede è un principio generale del nostro ordinamento, una vera e propria clausola generale che discende dal più ampio dovere di solidarietà sociale di cui all'art. 2 Cost.

Come riportato in molti manuali, la buona fede da essere semplice fonte di valutazione delle condotte ad opera del giudice, è divenuta una vera e propria fonte di integrazione delle stesse gravante in capo ai contraenti.

In altri termini, la buona fede costituisce un parametro di riferimento anche per gli stessi soggetti che stipulino, modifichino o estinguano un rapporto giuridico.

L'obbligo di comportarsi secondo buona fede non può significare un obbligo di attivarsi per sopperire alle manchevolezze o alle negligenze della parte inadempiente ma, diversamente, può corrispondere ad un obbligo di non pregiudicare l'utilità della prestazione altrui.

Volendo esemplificare, il contraente deve astenersi dall'eseguire prestazioni contrattuali che, seppur previste, possano pregiudicare l'utilità della controparte.

La poliedricità della clausola generale di buona fede si manifesta anche relativamente alle conseguenze che una sua violazione potrebbe comportare.

Una condotta contraria a buona fede può implicare il risarcimento dei danni cagionati ma può, altresì, influire sulla validità degli atti compiuti come ad esempio il recesso o la risoluzione di un contratto.

La diligenza e la correttezza non attengono solamente gli obblighi contrattuali ma afferiscono anche il bilanciamento dei contrapposti interessi vantati dalle parti.

E' proprio considerando siffatti interessi che viene in rilievo il principio di abuso del diritto il quale, secondo alcuni autori è un corollario della buona fede mentre, secondo altri, costituisce un principio autonomo e distinto.

L'abuso del diritto si rileva ogni qualvolta un soggetto eserciti un diritto del quale è titolare, attraverso modalità non necessarie o comunque non rispettose della controparte poiché cagiona un sacrificio ingiustificato e sproporzionato.

Riscontrati tali abusi e scorrettezze, laddove sia consentito, il giudice ha un potere di intervenire per modificare o integrare il contenuto contrattuale e ripristinare così l'equilibrio sinallagmatico.

Qualora sia previsto, il giudice può anche disporre l'inefficacia degli atti compiuti in violazione dei predetti doveri.

Quest'ultima evenienza non corrisponde ad un'indebita ingerenza nell'autonomia contrattuale ma attesta il sindacato di merito da esercitarsi sull'abuso posto in essere.

Le coordinate cosi tracciate devono essere rapportate al caso di specie.

L'esercizio del diritto di recesso ex art. 1373 c.c., per il quale sia previsto un termine di preavviso, non preclude alla parte che lo eserciti di agire per la risoluzione o di avvalersi della clausola risolutiva espressa, qualora quest'ultima sia prevista nel contratto.

Se questo assunto generale risulta essere ammissibile sul piano astratto, deve essere verificato a fronte delle peculiarità del caso concreto.

L'adempimento di molteplici incombenze a fronte di un recesso già esercitato, espongono il contraente ad un rischio economico elevato e inducono a creare una situazione analoga a quella in cui lo stesso si sarebbe trovato se non si fosse previsto un termine di preavviso.

Il termine di preavviso rappresenta una vera e propria forma di tutela per la parte contrattuale che vede recedere il proprio contraente dal momento che in questo lasso di tempo ha la possibilità di organizzarsi, facendo in modo che un tale evento possa cagionare i minor danni possibili.

Un tale comportamento risulta essere così ingiustificato ed eccessivamente gravoso per la parte che lo subisce.

E' proprio per questi motivi che la Cassazione dispone l'annullamento della sentenza e rinvia la trattazione alla Corte d'Appello, in diversa composizione, per procedere ad un nuovo esame delle domande a fronte dei principi richiamati.

Cass civ., Sez. III, ordinanza 16823/2018

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