La Cassazione conferma la sentenza di merito che ha escluso il mantenimento per l'ex moglie di giovane età. Rilevante anche la precaria situazione dell'uomo che vive di sola pensione e la breve durata del matrimonio

di Marina Crisafi - Lui anziano e pensionato, lei giovane, con villa di proprietà e lavanderia in gestione. Dopo circa 2 anni, l'"idillio" finisce e i due si dicono addio. Lei reclama l'assegno di mantenimento ma per i giudici non ne ha diritto. Questa la vicenda approdata in Cassazione che, con ordinanza n. 5593/2018 depositata 8 marzo (sotto allegata), ha definitivamente dato torto alla giovane donna.

La vicenda

Nella vicenda, la Corte d'appello di Catania, in riforma della sentenza di primo grado, ha eliminato l'obbligo di un uomo di corrispondere alla moglie separata, l'assegno di mantenimento (determinato in euro 300,00 mensili), in considerazione della breve durata del matrimonio e dell'insussistenza di un divario delle condizioni reddituali dei coniugi, tenuto conto che l'uomo pensionato, aveva un reddito di euro 750,00 mensili, era proprietario di un piccolo locale sfitto, aveva dovuto vendere un immobile per fare fronte a debiti consistenti e viveva in una casa in affitto, mentre la donna, molto più giovane del marito, gestiva una lavanderia ed era proprietaria di una villa.

La giovane moglie non ci sta e adisce il Palazzaccio denunciando l'illogicità della sentenza per avere eliminato l'obbligo dell'assegno in suo favore, all'esito di una erronea valutazione dei redditi delle parti anche sulla base di documenti tardivamente introdotti dall'ex in appello.

Addio assegno per la giovane moglie

Ma i giudici di piazza Cavour le rispondono picche. Per loro, infatti, il ricorso è generico laddove lamenta la tardiva produzione dei documenti e, inoltre, è diretto "ad ottenere una rivisitazione del giudizio di fatto - riservato al giudice di merito - riguardante le condizioni economiche e reddituali dei coniugi, ai fini della decisione sulla debenza dell'assegno di mantenimento, mentre il controllo di legittimità non equivale alla revisione del ragionamento decisorio nè costituisce occasione per accedere ad un terzo grado ove fare valere la ritenuta ingiustizia della decisione impugnata". Non solo. E' inammissibile laddove denuncia genericamente l'illogicità della sentenza instando per una diversa valutazione degli elementi probatori, vizio motivazionale non più proponibile in Cassazione.

Per cui la donna può dire addio all'assegno e dovrà pagare le spese di giudizio.

Cassazione, ordinanza n. 5593/2018

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