Per la Cassazione, se la fonte del rumore non è strumentale all'attività lavorativa si applica l'art. 659, 1° comma, del codice penale

di Lucia Izzo - Scatta la responsabilità penale per il titolare dell'albergo i cui condizionatori rumorosi, non strumentali alla sua attività, disturbano il riposo dei vicini.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, sezione feriale penale, nella sentenza n. 39883/2017 (qui sotto allegata) pronunciatasi sul ricorso di un albergatore al quale era stato contestato di aver disturbato le occupazioni o il riposo delle persone abusando, tra l'altro, di un impianto di condizionamento d'aria.

La vicenda

Condannato nel merito alla sola pena dell'ammenda per la contravvenzione prevista dall'art. 659 c.p., l'uomo adisce il Supremo Collegio lamentando violazione degli artt. 659, comma 2, cod. pen., 10, I. n. 447/1995. Secondo la difesa dell'albergatore, in particolare, l'uomo sarebbe stato condannato pur in presenza di una condotta di rilievo soltanto amministrativo, non potendosi ravvisare gli estremi dell'art. 659, comma 1, cod. pen., come invece affermato nella sentenza. Veniva invocata, pertanto, l'insussistenza del fatto contestato e l'annullamento della decisione.

Art. 659 del codice penale: due autonome fattispecie di reato

Per la Cassazione, il gravame risulta infondato. L'art. 659 c.p., ricordano, infatti, gli Ermellini, "prevede due autonome fattispecie di reato, configurate rispettivamente dai commi 1 e 2 - e - l'elemento che le differenzia è rappresentato dalla fonte del rumore prodotto, giacché, ove esso provenga dall'esercizio di una professione o di un mestiere rumorosi, la condotta rientra nella previsione del secondo comma del citato articolo per il semplice fatto della esorbitanza rispetto alle disposizioni di legge o alle prescrizioni dell'autorità, presumendosi la turbativa della pubblica tranquillità".

Qualora, invece, hanno spiegato ancora dal Palazzaccio, "le vibrazioni sonore non siano causate dall'esercizio dell'attività lavorativa, ricorre l'ipotesi di cui all'art. 659, comma 1, cod. pen., per la quale occorre che i rumori superino la normale tollerabilità ed investano un numero indeterminato di persone, disturbando le loro occupazioni o il riposo".

Rumori provenienti da attività lavorativa: i precedenti

Nei medesimi termini, la Cassazione ha più volte affermato che "i rumori molesti provenienti da un'attività lavorativa integrano la fattispecie di cui all'art. 659, comma 2, cod. pen. quando originino da elementi strettamente connessi, strumentali e necessari all'esercizio dell'attività medesima".

Così, ad esempio, la Corte applicando questa principio, ha più volte affermato che un bar autorizzato a rimanere aperto fino a tardi e all'uso di strumenti musicali e diffusione sonora, va classificato come esercizio di un "mestiere rumoroso", giacché l'utilizzo degli strumenti stessi è da considerare come connesso e indispensabile all'attività. Del pari, si è affermato, che, "in tema di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, la condotta costituita dal superamento dei limiti di accettabilità di emissioni sonore derivanti dall'esercizio di professioni o mestieri rumorosi non configura l'ipotesi di reato di cui all'art. 659 comma 2, ma l'illecito amministrativo di cui alla l. n. 447 del 1995 (legge quadro sull'inquinamento acustico) (cfr. Cass. n. 13015/2014).

Cassazione: reato se la fonte di rumore non è strumentale all'attività

Nel caso di specie, invece, non si è potuto configurare il solo illecito amministrativo, poiché la fonte di disturbo è stata rintracciata nell'impianto di condizionamento dell'aria (posto sul tetto) non insonorizzato, privo di paratie e particolarmente rumoroso, tanto da disturbare il riposo quotidiano di numerose persone dimoranti nei dintorni.

Ciò "impediva di configurare il solo illecito amministrativo, nei termini sopra riportati, non potendosi configurare una fonte rumorosa ex se strumentale all'attività alberghiera, come tale insuscettibile di riduzione di emissioni". Per cui, il giudice di merito, hanno ritenuto in definitiva dalla Cassazione, ha fatto buon governo del principio in forza del quale "l'affermazione di responsabilità per la fattispecie de qua non implica, attesa la natura di reato di pericolo presunto, la prova dell'effettivo disturbo di più persone, essendo sufficiente l'idoneità della condotta a disturbarne un numero indeterminato", nonché dell'ulteriore principio, per cui l'attitudine dei rumori a disturbare il riposo o le occupazioni delle persone non va necessariamente accertata mediante perizia o consulenza tecnica, "di tal ché il giudice ben può fondare il proprio convincimento su elementi probatori di diversa natura, quali le dichiarazioni di coloro che sono in grado di riferire le caratteristiche e gli effetti dei rumori percepiti, sì che risulti oggettivamente superata la soglia della normale tollerabilità".

Cass., sezione feriale penale, sent. n. 39883/2017

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