Il lavoratore non è obbligato a una permanenza forzata presso casa, purchè l'uscita non pregiudichi o rallenti la sua guarigione

di Lucia Izzo - Molto si discute sul tema della reperibilità per visite fiscali del lavoratore assente per malattia. Lo dimostra la copiosa giurisprudenza che si è pronunciata sui vari profili inerenti la materia.  Ad esempio, la Cassazione ha più volte precisato che il lavoratore deve farsi trovare alla visita di controllo, altrimenti la sua ingiustificata assenza prevede la decadenza (in varia misura) del lavoratore medesimo dal diritto al trattamento economico di malattia (Cass., sent. n. 3294/2016).


La permanenza presso il proprio domicilio durante le fasce orarie previste per le visite mediche domiciliari di controllo costituisce non già un onere, bensì un obbligo per il lavoratore ammalato, in quanto l'assenza, rendendo di fatto impossibile il controllo in ordine alla sussistenza della malattia, integra un inadempimento, sia nei confronti dell'istituto previdenziale, sia nei confronti del datore di lavoro, che ha interesse a ricevere regolarmente la prestazione lavorativa e, perciò, a controllare l'effettiva sussistenza della causa che impedisce tale prestazione.


In particolare, durante la malattia il lavoratore si considera "assente ingiustificato" non solo quando non è presente presso l'abitazione, ma anche quando, pur presente,  ponga in essere qualsiasi condotta tesa a impedire l'esecuzione del controllo sanitario per incuria, negligenza o altro motivo non apprezzabile sul piano giuridico e sociale.


Invero, l'obbligo dell'INPS di erogare l'indennità di malattia permane, anche a fronte di un comportamento del lavoratore che si sottragga alla verifica sanitaria, solamente ove ricorrano serie e comprovate ragioni, quale l'indifferibile necessità di recarsi presso un luogo diverso dal proprio domicilio, e considerato l'obbligo di cooperazione in capo all'assicurato per la realizzazione del fine di rilevanza pubblica di impedire abusi di tutela. 


Di norma, stante l'obbligo di reperibilità, l'eventuale allontanamento dall'abitazione indicata all'ente previdenziale quale luogo di permanenza durante la malattia è giustificato solo quando tempestivamente comunicato agli organi di controllo. Tuttavia, qualora, tale comunicazione sia stata omessa o sia tardiva, non viene automaticamente meno il diritto, ma l'omissione o il ritardo devono a loro volta essere giustificati da esigenze cogenti e improcrastinabili che non hanno consentito di effettuare la comunicazione in maniera tempestiva (circostanza che il lavoratore dovrà essere in grado di dimostrare).


Nella recente sentenza n. 64/2017, la sezione lavoro della Corte di Cassazione, ha condiviso quanto stabilito dai giudici di merito, sull'obbligo del lavoratore di comunicare preventivamente le assenze alla visita fiscale, per consentire all'azienda di controllare, tramite l'Inps, l'effettività della sua malattia.

Se il lavoratore viene trovato più volte assente alle visite fiscali, senza addurre valide giustificazioni e senza preventiva comunicazione, prosegue il Collegio, non rileva ai fini dell'appurato inadempimento dell'obbligo di comunicazione preventiva dell'assenza dal domicilio, il fatto che il medico dell'Inps abbia confermato in un momento successivo la malattia diagnosticata con la relativa prognosi.

Nel caso di specie, il rapporto fiduciario caratterizzante l'incarico dirigenziale aveva comportato una valutazione maggiormente rigorosa del comportamento della lavoratrice, dell'addebitabilità dei fatti contestati a titolo di grave negligenza e della idoneità dello stesso, ripetuto per ben tre volte nell'arco temporale di circa due mesi a riprova del disinteresse dimostrato per le esigenze datoriali, ad incidere in modo definitivo sul vincolo fiduciario. 


Al lavoratore è, invece, consentito assentarsi negli orari diversi da quelli previsti dalla visita fiscale, ad esempio per riprendere a svolgere le attività quotidiane. Ciononostante l'uscita non potrà pregiudicare il recupero delle energie e il conseguente rientro al lavoro: pertanto, in sede di controversia tra datore e lavoratore, bisognerà dimostrare che l'uscita o le uscite da casa non abbiano ritardato la guarigione, altrimenti il dipendente potrebbe incorrere in sanzioni disciplinari (ad esempio il lavoratore assente per lombosciatalgia sorpreso a sollevare pesi in giardino).


L'idea che l'abitazione non costituisca un luogo di forzata permanenza per il lavoratore in malattia, è avvalorata anche dalla sentenza n. 21/2008 della Corte di Cassazione (sez. giurisdizionale per la regione Trentino Alto-Adige) la quale ha precisato che, una volta andato via il medico fiscale, il dipendente non ha più l'obbligo di reperibilità e ha possibilità di assentarsi dalla propria dimora, purché ovviamente in tal modo non comprometta la propria guarigione, in quanto ha un dovere giuridico di non prolungare i tempi di recupero e di rientro al lavoro.


Nel caso esaminato dalla Corte, il lavoratore, uscito subito dopo il controllo fiscale, era stato per questo sanzionato dall'Inps e dal datore di lavoro. Tuttavia, per gli Ermellini, il dipendente ha libertà di movimento a seguito della visita del medico fiscale, altrimenti gli sarebbe imposto un forzato riposo quotidiano che potrebbe non essere né utile né compatibile con alcune malattie la cui cura non sarebbe pregiudicata dall'allontanamento da casa (ad esempio un braccio ingessato o in caso di asma allergica).


Gli assenti per malattia possono dunque uscire di casa dopo la visita del medico fiscale, poichè l'obbligo di reperibilità vale sino a quando non sia stato accertato lo stato di malattia. Assume carattere "eccezionale", infatti, la limitazione alla libertà di locomozione imposta dal regime delle cosiddette fasce orarie di reperibilità. Il lavoratore rimane però "sotto osservazione", non potendo comunque porre in essere attività che possano pregiudicare la sua guarigione.



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