Per ritenere configurabile il reato di maltrattamenti in famiglia rilevano non solo percosse, lesioni e ingiurie, ma anche atti di disprezzo e offesa che infliggono sofferenze morali al coniuge

di Lucia Izzo Anche gli atti di disprezzo e offesa arrecati alla dignità del coniuge, tali da risolversi nell'inflizione di vere e proprie sofferenze morali, concorrono a ritenere configurabile il reato di maltrattamenti in famiglia. 


Lo ha precisato la Corte di Cassazione, sez. sesta Penale, nella sentenza n. 48224/2016 (qui sotto allegata) espressasi su un caso di maltrattamenti in famiglia a seguito del ricorso dell'imputato tunisicino, condannato per tale reato commesso nei confronti della moglie.


La donna, dopo essere arrivata dalla Tunisia in Italia per ricongiungersi al marito, si era venuta a trovare in una condizione di isolamento, bisogno economico e intimidazione, come dimostrato da plurimi e oggettivi elementi di riscontro.


Tra questi, non solo la relazione della psicologa che aveva ricevuto dalla parte offesa la sofferta narrazione di percosse e minacce da parte del di lei marito, ma anche dalla convergenti testimonianze rese dalla vicina connazionale.


Muovendo da tali univoche premesse ricostruttive, evidenzia la Cassazione, i Giudici di merito hanno delineato un quadro storico-fattuale ritenuto coerentemente dimostrativo sia della volontà dell'imputato

di imporre alla moglie, lungo il consistente arco temporale ricompreso fra l'arrivo in Italia della donna e la denuncia dalla stessa presentata, la realtà della sua stabile convivenza di fatto con un'altra donna (dalla quale peraltro aveva già avuto un figlio) sia della violenta e minacciosa reazione alle sue comprensibili proteste, con l'intento di porla di fronte alla scelta tra la passiva sopportazione della situazione in atto, ovvero il ritorno in Tunisia per la condizione di abbandono economico, tanto che la donna solo grazie all'aiuto di una conoscente occasionale riuscì, dapprima, a trovare una provvisoria sistemazione abitativa, quindi ad essere accolta presso una struttura protetta


Nel rigettare il ricorso dell'uomo, gli Ermellini precisano che il reato di maltrattamenti in famiglia è integrato dalla condotta dell'agente che sottopone la moglie ad atti di vessazione reiterata e tali da cagionarle sofferenza, prevaricazione e umiliazioni, in quanto costituenti fonti di uno stato di disagio continuo ed incompatibile con le normali condizioni di esistenza (cfr. Cass., sesta sezione penale, n. 55/2002)


Rilevano, entro tale prospettiva, come si è poc'anzi evidenziato, non soltanto le percosse, le lesioni, le ingiurie, le minacce, le privazioni ed umiliazioni imposte alla vittima, ma anche gli atti di disprezzo e di offesa arrecati alla sua dignità, che si risolvano nell'inflizione di vere e proprie sofferenze morali (cfr. Cass., sesta sezione penale, n. 44700/2013). 

Cass., VI sez. pen., sent. n. 48224/2016

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