L'art. 66 del codice deontologico forense punisce l'illegittimo frazionamento del credito professionale nei confronti del proprio ex cliente

di Lucia Izzo - Il Nuovo Codice Deontologico Forense, in vigore dal 15 dicembre 2014, ribadisce all'art. 66 (Pluralità di azioni nei confronti della controparte) quanto stabilito dall'art. 49 della previgente versione del codice: "L'avvocato non deve aggravare con onerose o plurime iniziative giudiziali la situazione debitoria della controparte, quando ciò non corrisponda ad effettive ragioni di tutela della parte assistita". 


La violazione di tale dovere comporta l'applicazione della sanzione disciplinare della censura e la rilevanza deontologica della violazione di tale precetto non è scriminata dalla circostanza che le iniziative stesse siano state espressamente volute dalla medesima parte assistita (Consiglio Nazionale Forense, sentenza del 22 luglio 2015, n. 115).


Più volte la giurisprudenza, sia disciplinare che di legittimità, è intervenuta per sanzionare i professionisti che moltiplicavano le iniziative giudiziali nei confronti della controparte senza che sussistessero effettive ragioni di tutela della parte assistita.


Le Sezioni Unite, sentenza n. 26810/2016, hanno precisato che l'espressione "iniziative giudiziali" si riferisce a tutti gli atti aventi carattere propedeutico al giudizio esecutivo, suscettibili di aggravare la posizione debitoria della controparte, e quindi anche agli atti di precetto, pur non costituenti atti di carattere processuale.


L'illegittimo frazionamento del credito nei confronti dell'ex cliente

L'illegittimo frazionamento del credito professionale nei confronti del proprio ex cliente è stato oggetto di una sentenza del Consiglio nazionale Forense, n. 195 del 24 dicembre 2015, recentemente pubblicata sul sito istituzionale, con cui si è ritenuto contrario ai doveri di probità e decoro di cui all'art. 66 n.c.d.f. (già art. 49 c.d.f. - "Pluralità di azioni nei confronti della controparte") il comportamento dell'avvocato che, al fine di conseguire il pagamento delle proprie spettanze professionali, abusi degli strumenti processuali che l'ordinamento offre alla parte nei limiti di una corretta tutela del suo interesse sostanziale, intraprendendo plurime e più onerose iniziative giudiziarie di recupero del credito, così aggravando la posizione debitoria del proprio ex cliente, senza che ciò corrisponda ad effettive ragioni di tutela dei propri diritti. 


Nel caso di specie, il professionista aveva introdotto tre distinti giudizi nei confronti del proprio ex cliente, per ottenere il pagamento delle proprie spettanze, tutte relative all'unico, continuativo rapporto di clientela: si trattava di tre atti di citazione, tutti notificati nella medesima data, assolutamente semplici e di importi singoli estremamente modesti. 


Il competente Consiglio dell'Ordine, a fronte di tale atteggiamento, aveva inflitto alla professionista la sanzione disciplinare dell'avvertimento poichè questa era a conoscenza, al momento di spiccare le tre distinte citazioni, dell'ammontare e complessivo a lei dovuto per l'attività svolta, era in possesso della documentazione relativa, gli accertamenti richiesti non comportavano particolare o complessa istruttoria, e pertanto nulla ostava affinché la richiesta dei compensi fosse formulata con un unico atto di citazione.


Il CNF evidenzia che, operando invece con il frazionamento dei singoli crediti relativamente alle attività partitamente svolte, l'avvocato non solo ha provveduto a richiedere i propri compensi ma, come esattamente rilevato dal COA, ha creato un'ingiusta moltiplicazione di azioni giudiziarie aggravando la posizione del debitore, costretto da un lato a costituirsi in giudizio, e quindi a procedere agli esborsi per singole difese e dall'altra parte ad essere esposto alle condanne alle spese per i nuovi singoli giudizi.


L'illegittimo frazionamento del credito nei confronti della controparte

La stessa conclusione era stata raggiunta dalla Corte di Cassazione, sentenza n. 21948/2015, con cui le Sezioni Unite hanno confermato la sanzione della censura nei confronti di un'avvocato che aveva aggravato la situazione debitoria dell'ASL debitrice attraverso plurime iniziative giudiziali consistenti in molteplici ingiunzioni per ragioni creditorie analoghe tra loro, riferite e crediti maturati in un ristretto lasso di tempo, e interventi per fatture o altri decreti ingiuntivi dei quali aveva poi ottenuto, per ciascuno la liquidazione delle spese conseguenziali (per approfondimenti: "Avvocati: va censurato il legale che intraprende troppe azioni legali aggravando la situazione debitoria della controparte").


Ciononostante, il Consiglio Nazionale Forense, nella sentenza del 15 dicembre 2011, n. 207, ha escluso la violazione del divieto previsto dall'art. 49 c.d.f. (ora art. 66 n.c.d.f.) allorquando l'avvocato agisca conformandosi ai doveri di una diligente difesa della parte che gli ha conferito il mandato, senza venir meno ai doveri di correttezza. In particolare, non aggrava la posizione del debitore il professionista che, per il timore di perdere la garanzia del credito per l'ormai certo e prossimo sopravvenire del formale provvedimento d'estinzione della prima procedura esecutiva ed in considerazione del pregresso contegno non affidabile del debitore, notifichi un nuovo pignoramento sulle stesse somme su cui era caduto il primo ed ancora sottoposte al vincolo del primo.



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