Per la Cassazione, le plurime iniziative giudiziali, in luogo di un unico intervento, violano l'art. 49 del codice deontologico forense

di Lucia Izzo - È sanzionato con la censura l'avvocato che, per conto dello stesso cliente, ha intrapreso plurime iniziative giudiziali, in luogo di un unico intervento, senza che ricorressero effettive ragioni di tutela della parte assistita, ottenendo così liquidazioni di spese frammentate e aumentate che determinano un aggravamento della situazione debitoria di controparte.


Così hanno stabilito le Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza n. 21948/2015 (qui sotto allegata).

L'avvocato ricorrente era stato preliminarmente sanzionato dal competente Consiglio dell'Ordine poiché, violando l'art. 49 del codice deontologico, aveva aggravato la situazione debitoria dell'ASL debitrice attraverso plurime iniziative giudiziali consistenti in molteplici ingiunzioni per ragioni creditorie analoghe tra loro, riferite e crediti maturati in un ristretto lasso di tempo, e interventi per fatture o altri decreti ingiuntivi dei quali aveva poi ottenuto, per ciascuno la liquidazione delle spese conseguenziali.


Il CNF riforma la prima decisione riducendo la sanzione dalla sospensione alla censura, ritenendo che le decisioni monitorie erano state  correttamente azionate in diverse scadenze temporali tenendo conto delle necessità dei clienti, vista la periodicità dei pagamenti dovuti dall'ente e le spese per cui i creditori avevano bisogno di ottenere rapidamente quelle somme.

Diversa invece, la conclusione raggiunta circa la "redazione e il deposito di plurimi atti di intervento" per i quali il Consiglio Nazionale ha ritenuto non sussistente alcuna ragione di urgenza o di interesse esclusivo della parte da proteggere.


Di concorde avviso le Sezioni Unite, che rivelano le infondatezze delle critiche sollevate dal ricorrente.

L'avvocato ritiene che l'iniziale decisione del Consiglio dell'Ordine abbia omesso di precisare i capi di incolpazione che hanno determinato la sanzione disciplinare, non consentendogli adeguata difesa, cosa che neppure il CNF avrebbe rilevato.


Appare evidente, precisano gli Ermellini, che il thema decidendum chiarisse la contestazione disciplinare senza incertezze di sorta per aver l'avvocato violato l'art. 49 del codice deontologico, aggravando "la situazione debitoria della ASL assumendo plurime iniziative giudiziali nella procedura esecutiva (...), nei procedimenti presso il Tribunale di Siena nei confronti del terzo Banca", quando poi sarebbe bastato un singolo intervento per tutelare le ragioni del cliente.


D'altronde, la stessa azione nei suoi confronti veniva attutata a seguito di segnalazioni ricevute dalla cancelleria civile dell'Ufficio esecuzioni del locale Tribunale che lamentava un intasamento dovuto alla smisurata mole di procedimenti attivati dal legale.


Rammentano ulteriormente i giudici della Corte che, in ordine alla censura di indeterminatezza nella formulazione del capo di incolpazione, "occorre ricordare che nel procedimento disciplinare a carico degli esercenti la professione forense, la contestazione degli addebiti non esige una minuta completa e particolareggiata esposizione dei fatti che integrano l'illecito essendo invece sufficiente che l'incolpato con la lettura dell'imputazione sia posto in grado di approntare la propria difesa in modo efficace senza rischi di essere condannato per fatti diversi da quelli ascrittigli"


Il ricorso è rigettato e l'avvocato costretto a pagare doppio importo a titolo di contributo unificato stante le disposizioni della legge n. 228/2012.


SS.UU., sentenza 21948/2015

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