Anche in caso di superamento del periodo di comporto l'azienda non può mutare i motivi posti alla base del recesso

Avv. Michele Cannistraci - Il principio dell'immutabilità delle ragioni comunicate come legittimanti il licenziamento ha carattere generale e si applica anche in caso di recesso conseguente al superamento del periodo di comporto.

Di conseguenza, il datore di lavoro, ove abbia posto a fondamento del licenziamento per giusta causa la contestazione concernente il superamento del periodo di comporto prolungato con ricaduta, non può, in sede giudiziale, mutare l'addebito, invocando il superamento di un diverso e minore periodo di comporto legato all'ipotesi di comporto breve.

E' questo, in estrema sintesi, il principio di diritto sancito dalla Sentenza n. 10252 del 18.05.2016, pronunciata dalla Sezione Lavoro della Corte di Cassazione.

Il fatto

Con ricorso proposto dinanzi al Giudice del Lavoro territorialmente competente, una lavoratrice impugnava il licenziamento intimato dal proprio datore di lavoro per superamento del periodo di comporto[i].

Il Giudice adito dichiarava l'illegittimità del licenziamento, rilevando come il datore di lavoro avesse provveduto ad allegare alla lettera di licenziamento un prospetto riepilogativo dei giorni di assenza per malattia della lavoratrice, prospetto, che, tuttavia, comprendeva anche i giorni dal 15.02.2010 al 18.10.2010, periodo durante il quale la lavoratrice aveva usufruito di aspettativa non retribuita, non conteggiabile ai fini del superamento del termine di comporto.

Il Giudicante di Prime Cure, pertanto, rilevava l'erroneità del calcolo come risultante dal prospetto allegato, concludendo nel senso del non superamento del periodo di comporto sulla base dello stesso prospetto.

Il Giudice del Lavoro, inoltre, respingendo le asserzioni dell'azienda datrice, riteneva inammissibile considerare, ai fini del superamento del periodo di comporto lungo, anche le assenze pregresse non ricomprese nel prospetto allegato alla lettera di licenziamento.

Ciò sulla base del principio di immutabilità delle ragioni addotte per il recesso.

Il datore di lavoro procedeva, quindi, ad impugnare la sentenza emessa dal Giudice del Lavoro.

L'appello, tuttavia, veniva rigettato dalla Corte territorialmente competente, la quale, nel motivare il proprio diniego, osservava come, pur non gravando sulla società l'obbligo di indicare le assenze nella lettera di recesso, era stata la stessa azienda appellante a redigere un prospetto riepilogativo.

Conseguentemente, anche secondo il giudice dell'impugnazione, in base al criterio di immutabilità dei motivi posti a fondamento del licenziamento, non potevano considerarsi, ai fini del superamento del periodo di comporto, anche le assenze non indicate nel prospetto e dedotte solo in giudizio.

Avverso la sentenza della Corte di appello, il datore di lavoro proponeva ricorso presso la Corte di Cassazione.

L'azienda ricorrente, in particolare, asseriva di non avere l'obbligo di documentare le assenze nella lettera di contestazione, precisando, inoltre, come la lavoratrice fosse consapevole di aver superato il periodo di comporto, come da missive da lei stessa inviate al datore di lavoro.

L'azienda, pertanto, concludeva chiedendo la cassazione della decisione del Giudice di Merito, anche sulla base di un'ingiustificabile disparità di trattamento tra aziende che, all'atto del recesso, non comunicano al lavoratore le assenze e quelle aziende che, invece, le comunicano erroneamente.

La Corte di Cassazione, tuttavia, con sentenza n. 10252 del 18.05.2016 (qui sotto allegata), respingeva il ricorso.

La decisione

La Suprema Corte, nel rigettare il ricorso proposto dall'azienda datrice, ha ricordato il proprio costante orientamento in materia, secondo cui, anche nel caso di licenziamento per superamento del periodo di comporto, "il datore di lavoro, ove abbia contestato al lavoratore il superamento del periodo di comporto prolungato con ricaduta, non può, poi, modificare l'addebito, invocando il superamento di un diverso e minore periodo di comporto legato all'ipotesi di comporto breve. Anche in tale ipotesi, infatti, trova applicazione la regola dell'immodificabilità delle ragioni comunicate come motivo del licenziamento", la quale ha carattere generale, operando come fondamentale garanzia giuridica per il lavoratore, il quale vedrebbe altrimenti frustrata la possibilità di contestare il licenziamento intimato unilateralmente e la validità dell'atto di recesso.

Il datore di lavoro, dunque, non ha l'onere di specificare dettagliatamente le giornate di assenza del dipendente, ma se lo fa (come accaduto nel caso di specie) non può poi, in sede di giudizio, riferirsi ad un periodo che lui stesso non ha preso in considerazione al momento in cui ha ritenuto di disporre il licenziamento.

La Corte, inoltre, ha avuto modo di precisare come sia assolutamente irrilevante che la lavoratrice sapesse di aver superato il periodo di comporto, dal momento che sussiste comunque, nel caso in esame, una violazione datoriale al principio di immutabilità dei motivi di licenziamento.


Avv. Michele Cannistraci

mcannistraci@live.it



[i] Giova ricordare che il cd. periodo di comporto è quell'arco temporale, di solito individuato dai contratti collettivi di categoria o aziendali, durante il quale il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto nonostante l'esecuzione della prestazione lavorativa rimanga sospesa per fatto inerente alla sua persona, come ad esempio nelle ipotesi di malattia del lavoratore.

Cass. Sez. Lav. Sentenza 18.05.2016, n. 10252

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