Intimare azioni sproporzionate e vessatorie configura una minaccia sanzionabile anche disciplinarmente

di Marina Crisafi - È da sanzionare disciplinarmente l'avvocato che vessa la controparte, con minacce di azioni sproporzionate. Lo ha stabilito il Consiglio Nazionale Forense, con la sentenza n. 112/2014 (qui sotto allegata), resa nota in questi giorni sul sito istituzionale, confermando la responsabilità disciplinare nei confronti di un avvocato, decisa dal Consiglio dell'ordine territoriale.

Alla professionista, il Coa, a seguito dell'esposto del legale della controparte, aveva inflitto la sanzione disciplinare della censura, per aver tenuto un comportamento ritenuto "non rispettoso dei doveri di dignità, lealtà e decoro che devono ispirare la condotta dell'avvocato, riscontrato nell'ambito di una controversia civile, che le vedeva professionalmente impegnate".

La questione riguardava un procedimento civile per l'accertamento del diritto di proprietà per usucapione speciale rurale ex legge n. 346/1976 e l'incolpata, nella specie, inviava comunicazione via mail alla controparte e al suo avvocato, contenente la riserva di sporgere denuncia penale in relazione a comportamenti privi invece di penale rilevanza.

Per il Cnf, il contenuto della mail non lascia spazio a diverse interpretazioni. E richiamando la precedente giurisprudenza in materia (cfr. Cnf, n. 72/2009; n. 139/2008) ha affermato che l'intimazione di una qualsiasi azione giudiziaria, non è più lecita, trasformandosi anzi "in minaccia, come tale sanzionabile anche disciplinarmente, quando l'avvocato prospetti alla controparte la possibilità di avviare azioni del tutto sproporzionate e vessatorie".

Per cui, costituisce senza dubbio "illecito deontologico la comunicazione con la quale l'avvocato, senza alcuna necessità giuridica in relazione alle attività difensive e ad esse non funzionale, rappresenti alla controparte un rilevante pregiudizio anche di ordine extra-giudiziario al fine implicito di esercitare una indebita pressione".

In tal modo, infatti, ha concluso il Cnf, è violato l'art. 48 del codice deontologico (oggi art. 65). Tuttavia, considerato il ristretto contesto territoriale e relazionale in cui si sono svolti i fatti con la conseguente minor offensibilità del comportamento e l'assenza di precedenti disciplinari, ha ritenuto di ridurre la sanzione irrogata, applicando l'avvertimento in luogo della censura.

Cnf, sentenza n. 112/2014

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