Non conta che il divorzio sia avvenuto in Italia. La Convenzione di Monaco prevale come norma di diritto internazionale privato applicabile

di Lucia Izzo - La moglie straniera può conservare il cognome del marito italiano anche dopo il divorzio. Infatti, le situazioni da cui dipendono i cognomi e i nomi, ovvero i rapporti di famiglia che li determinano, sono valutati alla luce della legge dello Stato della cittadinanza secondo la Convenzione di Monaco, ratificata dall'Italia e che deve essere applicata anche per gli Stati non contraenti.


Lo ha precisato la Corte di Cassazione, prima sezione civile, nella sentenza n. 23291/2015 (qui sotto allegata).

Nel caso sottoposto all'esame dei giudici di Piazza Cavour, un cittadino italiano censura la decisione della Corte d'Appello che, in riforma della sentenza resa in primo grado, aveva consentito alla donna di poter mantenere il cognome dell'ex coniuge.


Il ricorrente evidenzia nelle sue difese la contraddittorietà della pronuncia di secondo grado, in quanto nonostante il giudice abbia stabilito l'applicabilità della legge italiana sul divorzio, non ha poi ritenuto applicabile l'art. 143-bis poiché avente ad oggetto l'aggiunta e non la sostituzione dell'originario cognome con quello del marito.

Inoltre, evidenzia l'uomo, la regola di diritto internazionale privato svedese rinvia alla dimora abituale, che nel caso di specie è trasferita in Italia, dovendo rinviarsi per le disposizioni sul tema alla legge italiana. 

Anche per i giudici di Piazza Cavour il punto nodale dell'indagine riguarda l'individuazione del diritto nazionale applicabile, nel caso di specie quello italiano oppure quello svedese.

Tuttavia, il sistema normativo a cui fare riferimento per la fattispecie dedotta in giudizio, non è solo quello degli artt. 143-bis c.c. e l'art. 5, commi 2,3,4, della l. n. 898/1970, ma va completato con le disposizioni della Convenzione di Monaco resa esecutiva dall'Italia con la L. 950/1984.

Per quanto riguarda l'individuazione della legge applicabile in ordine alla titolarità e all'esercizio del diritto al nome, la Convenzione espressamente prevale su altre norme di dritto internazionale privato.


Il cognome della donna, nella fattispecie esaminata, è stato sostituito con il consenso del coniuge diventando di fatto l'unico cognome della moglie e assumendo una funzione di carattere distintivo della propria identità personale a cui è necessario dare continuità; nel nostro ordinamento, invece, il cognome del marito integra ma non sostituisce quello della moglie, pertanto solitamente la sua eliminazione non determina alcuna necessità di continuità in ordine alla prevalenza dei segni distintivi che compongono il nome.


La Convenzione di Monaco vincola gli Stati contraenti e richiede all'art. 1 che i cognomi e i nomi di una persona vadano determinati dalla legge dello Stato di cui il titolare è cittadino anche laddove costui appartenga ad uno Stato non contraente, come la Svezia.

Sempre a norma della Convenzione, le cd. questioni preliminari, cioè i rapporti da cui dipende l'attribuzione del nome e del cognome, sono soggette alla stessa legge che regola l'attribuzione del nome

Perciò, se un determinato nome viene acquisito per ragioni familiari come nel caso di specie, la legge applicabile è sempre quella dello Stato di cui il soggetto è cittadino, ossia la Svezia non contentandosi la cittadinanza dell'ex moglie.


Nella specie non rileva neppure che la cessazione del rapporto sia stata dichiarata e regolata dalle legge di un altro stato (quella italiana) poiché il rinvio contenuto nella Convenzione conduce univocamente al sistema di diritto familiare dell'ordinamento svedese.

I giudici evidenziano che la predetta legge svedese consente al coniuge divorziato la facoltà unilaterale al mantenimento del cognome del marito sostituito al proprio originario al momento del matrimonio.

Si tratta di qualcosa non incompatibile con i principi del nostro ordine pubblico e che rappresenta anche la soluzione più coerente con i principi elaborati dalla Corte di Giustizia UE.


Cass., I civile, sent. 23291/2015

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