Riformata una sentenza di merito che aveva ritenuto sproporzionata la sanzione disciplinare

di Lucia Izzo - Legittimo il provvedimento di licenziamento adottato da una società agroalimentare nei confronti del dipendente assente ingiustificato per più di tre giorni, come disposto dall'art. 70 del c.c.n.l. di settore.

Non assume rilievo attenuante la "grossa conflittualità" che inerisce al rapporto lavorativo, dimostrata da un precedente licenziamento e dal consequenziale contenzioso scaturito.

Lo stabilisce la sezione lavoro della Corte di Cassazione con la sentenza n. 17987/2015 (qui sotto allegata), che riforma la decisione emessa dalla Corte d'Appello di Potenza.

I giudici di seconde cure avevano dichiarato l'illegittimità del licenziamento intimato al lavoratore il 29 novembre 2012 a causa di un'assenza prolungata e ingiustificata dal luogo di lavoro pari a 15 giorni.

La Corte evidenziava la conflittualità esistente tra dipendente e azienda, ritenendo sproporzionata la sanzione del licenziamento.

A seguito del licenziamento avvenuto il 3 novembre 2011, il lavoratore vedeva dichiararsi l'illegittimità del provvedimento e la reintegrazione nel posto di lavoro il 17 luglio 2012.

Il lavoratore veniva poi collocato in ferie e il suo rientro programmato per il 31 ottobre 2012.

Tuttavia costui, ritenendo illegittimo il suo collocamento in ferie, adiva nuovamente il Tribunale per ottenere il diritto di riammissione in servizio e il giudice ordinò la ripresa dell'attività in azienda il 7 novembre 2012, effettivamente avvenuta solo il 16 successivo.

Gli Ermellini accolgono il ricorso presentato dalla società, precisando che la valutazione di proporzionalità fra il provvedimento espulsivo adottato dal datore di lavoro e la gravità del fatto addebitato all'incolpato non sussiste quando si tratti di fattispecie di illecito disciplinare rigidamente predeterminata senza che sussistano circostanze attenuanti.

Non ci sono dubbi circa l'assenza di 15 giorni del lavoratore priva di plausibile o almeno parziale giustificazione, che non può rinvenirsi, come ricostruito dai giudici d'Appello, nel timore di continuazione del comportamento dell'impresa, ostile all'effettiva riammissione in servizio.

D'altronde, aggiungono i giudici della Suprema Corte, tutti i licenziamenti per indisciplina non colposa, d'altronde, rivelano una conflittualità tra datore e prestatore di lavoro.

Posta la palese realizzazione della fattispecie di cui all'art. 70 c.c.n.l. dell'industria agroalimentare, quindi dell'art. 2119 c.c., la Corte accoglie il ricorso e decide nel merito, rigettando la domanda originariamente proposta dal lavoratore e compensando le spese per l'intero processo.

Cass., Sezione Lavoro, sent. 17987/2015

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