Quando l'autorizzazione alla ricerca telematica dei beni da pignorare viene ignorata dall'agenzia fiscale.

Avv. Paolo Accoti

La vicenda riguarda la procedura per la ricerca telematica dei beni del debitore da pignorare, istituita dal D.L. n. 132/2014 (convertito in Legge 10.11.2014, n. 162) che ha introdotto, tra gli altri, con decorrenza 11 dicembre 2014, l'art. 492 bis c.p.c. e l'art. 155 quinquies disp. att. c.p.c.

In sintesi, la norma consente al creditore che intende procedere ad esecuzione forzata, di proporre istanza al Presidente del Tribunale, affinché autorizzi l'ufficiale giudiziario o, in mancanza, qualora le strutture tecnologiche atte a consentire gli accessi all'ufficiale giudiziario non fossero funzionanti, al creditore di ottenere direttamente dai gestori delle banche dati le informazioni nelle stesse contenute (art. 155 quinquies disp.att. c.p.c.).

Pertanto, l'ufficiale giudiziario ovvero il creditore procedente, possono consultare i dati contenuti nelle banche dati delle pubbliche amministrazioni o alle quali le stesse possono accedere e, in particolare, l'anagrafe tributaria, compreso l'archivio dei rapporti finanziari, il pubblico registro automobilistico e quelle degli enti previdenziali, per l'acquisizione di tutte le informazioni rilevanti per l'individuazione di cose e crediti da sottoporre ad esecuzione, comprese quelle relative ai rapporti intrattenuti dal debitore con istituti di credito e datori di lavoro o committenti, previa autorizzazione da parte del Presidente del Tribunale competente (492 bis c.p.c.)

Per approfondimenti sul tema e per le concrete modalità di ricerca: La procedura per la ricerca telematica dei beni del debitore da pignorare: i nuovi "super poteri" dell'ufficiale giudiziario. Profili sistematici.

Avevamo altresì dato atto della mancanza - ora come allora - dei regolamenti attuativi, giacché la norma espressamente demandava i "limiti e modalità di esercizio della facoltà di accesso alle banche telematiche" alla potestà regolamentare del Ministero della giustizia che, d'intesa con il Ministero dell'interno e con il Ministero dell'economia e finanze, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, avrebbe dovuto con decreto indicare le modalità e i confini di accesso alle suddette banche dati.

Che, tuttavia, nella reiterata assenza del predetto decreto attuativo, i vari Tribunali interessati alle richieste di autorizzazione a procedere alla ricerca telematica dei beni da pignorare, assumevano provvedimenti discordanti.

In particolare, i Presidenti di alcuni Tribunali negavano l'anzidetta autorizzazione, proprio sulla scorta della mancanza dei decreti attuativi, altri, invece: "valutata la normativa di cui all'art. 155 quinquies disp. att. cpc, e la relativa mancanza di accesso diretto degli ufficiali giudiziari, autorizzano il creditore a rivolgersi direttamente ai gestori delle banche dati (di cui alla normativa dell'art. 492 bis cpc)" (Cfr.: Tribunale Napoli Nord, 23.12.2014. Nello stesso senso: Tribunale di Mantova, 17.03.2015).

Per approfondimenti: La ricerca telematica dei beni da pignorare: i primi dubbi e le diverse considerazioni dei giudici di merito.

Questa è stata la procedura ritualmente seguita da un creditore che, nonostante tutti i permessi del caso, si è visto rifiutare l'accesso da parte del "terzo interrogato" Agenzia delle Entrate.

Consta, infatti, che a seguito di istanza per la consultazione delle banche dati, il Tribunale di Velletri, con provvedimento del 25.02.2015, ha autorizzato "il creditore ad effettuare la ricerca dei beni del debitore, mediante richiesta ai gestori delle banche dati delle pubbliche amministrazioni".

Lo stesso, in forza del predetto provvedimento, ha formulato apposita istanza all'Agenzia delle Entrate del Lazio, al fine di procedere alla anzidetta ricerca.

Tuttavia, con sommo stupore, l'Agenzia delle Entrate - Direzione Regionale del Lazio, con missiva del 28.05.2015, non accoglieva la richiesta, considerato che: "ritiene che la stessa non possa avere corso con le modalità prospettate".

Per motivare l'anzidetto diniego, dopo una disquisizione giuridica in merito agli artt. 492 bis c.p.c. e 155 quinquies disp. att. c.p.c., e alla mancanza del decreto attuativo, riferisce come: "Fino all'emanazione di tale provvedimento, dunque non è possibile individuare in via suppletiva i limiti, le modalità di esercizio della facoltà di accesso alle banche dati, nonché le modalità di trattamento e conservazione dei dati e le cautele a tutela della riservatezza dei debitori", conclude, pertanto, con un'interpretazione dell'art. 492 bis c.p.c. "in base al tenore letterale della norma che alla ratio ad essa sottesa … prevede che il creditore istante possa accedere direttamente - con autorizzazione del giudice - alle banche dati delle pubbliche amministrazioni, unicamente nel caso in cui gli Uffici Notifiche Esecuzioni e Protesti non possano accedere alle stesse in quanto le strutture tecnologiche già operative, nei casi, con le modalità, e nei limiti previsti dal decreto di attuazione, non siano funzionanti… Pertanto, nelle more dell'emanazione del decreto attuativo… l'istanza non può essere accolta".

Il diniego risulta legittimo?

Esaminiamo la natura giuridica dei soggetti interessati e la tipologia dei provvedimenti citati.

L'Agenzia delle Entrate è un ente pubblico non economico al quale, per legge, è affidato l'esercizio di una tipica funzione statale, quale la gestione delle entrate tributarie erariali.

I compiti dell'Agenzia delle Entrate, tuttavia, si esauriscono qui: la stessa non ha e non può avere né funzioni esecutive, né tanto meno funzioni giurisdizionali, come parrebbe emergere dal provvedimento di diniego in commento.

Pertanto, in tutti i rapporti che non attengono alle entrate tributarie erariali, la stessa si atteggia quale "comune" soggetto giuridico, quand'anche pubblico, alla stessa stregua di tutti gli altri soggetti giuridici.

Il Tribunale, quale organo giurisdizionale per eccellenza, chiaramente, è titolare della relativa funzione, che si esplicita attraverso l'esercizio di poteri autoritativi, che adotta al termine di una fase processuale o para-processuale, con l'emanazione di un provvedimento che può assumere la forma della sentenza, dell'ordinanza ovvero del decreto.

Nello specifico, l'istanza per l'autorizzazione alla ricerca telematica dei beni, rientra nei procedimenti camerali di volontaria giurisdizione, pertanto, il procedimento non ha natura contenziosa e viene assunto in camera di consiglio, all'esito della quale il Presidente del Tribunale emette un provvedimento finale che assume la forma del decreto che non ha contenuto decisorio ma, normalmente, autorizzativo (si pensi ai decreti in materia di famiglia e di tutela).

Generalmente, l'unico mezzo di impugnazione riconosciuto è il ricorso per cassazione ex art. 111 Costituzione.

Ciò posto, appare evidente che ci troviamo al cospetto di un tipico provvedimento giurisdizionale, che non può essere sindacato dal terzo, ma deve essere semplicemente attuato e rispettato.

L'Agenzia delle Entrate che, peraltro, sulla scorta della recente normativa, ha accesso a tutti i conti corrente dei contribuenti italiani, per scopi propri e fini istituzionali, non ha il potere di sindacare un provvedimento giurisdizionale, men che meno di fornire interpretazioni, più o meno letterali o spiegare la ratio di un provvedimento legislativo.

L'Agenzia delle Entrate non è affatto un organo sovraordinato dello Stato, ma un mero ente pubblico, come tanti in Italia che, alla stregua di tutti gli altri soggetti, pubblici o privati, dovrebbe uniformarsi alle decisioni della magistratura.

Al più, avrebbe potuto proporre interpello al Presidente del Tribunale di Velletri, per richiedere le concrete modalità operative e di attuazione della autorizzazione alla ricerca telematica dei beni ovvero ricorrere in Cassazione, se legittimata, e qualora ritenesse il provvedimento in qualche modo lesivo, ma giammai rifiutare d'imperio la legittima istanza del creditore debitamente autorizzata dal Tribunale.

Non siamo in altri termini dinnanzi ad un conflitto tra poteri dello stato, atteso che se da una parte vi è il potere giudiziario (Tribunale), dall'altro non vi è né un potere esecutivo né un potere legislativo, ma un semplice soggetto giuridico (Agenzia delle Entrate).

Tralasciando ulteriori profili relativi alla menzionata condotta, da un punto di vista prettamente civilistico, i rimedi avverso il predetto diniego potrebbero essere il giudizio di ottemperanza da proporre innanzi al Tribunale Regionale Amministrativo competente, ovvero procedere preliminarmente con un ricorso d'urgenza ex art. 700 c.p.c., al fine di ottenere un provvedimento decisorio in merito all'obbligo di eseguire la prestazione richiesta e autorizzata e, in mancanza, di spontaneo adempimento, agire con il giudizio di ottemperanza ovvero con l'esecuzione coattiva per mezzo dell'ufficiale giudiziario.

Fermo restando l'eventuale risarcimento del danno, a cui pure avrebbe diritto parte procedente, qualora dimostrasse il ritardo nella soddisfazione del credito, ricollegabile al predetto diniego, ovvero che lo stesso ha reso più difficoltosa la soddisfazione del predetto credito.

Avv. Paolo Accoti

Decreto presidenziale 25.02.2015
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