"I limiti temporali per poter procedere al licenziamento per superamento del periodo di comporto devono essere ulteriormente dilatati, in modo da comprendere oltre che il periodo di comporto anche quello dell'aspettativa se richiesta dal lavoratore e concessa dal datore di lavoro".

E' quanto affermato dalla Corte di Cassazione che, con sentenza 6711/2013, ha rigettato il ricorso proposto da una società (impresa di pulizie) avverso la decisione con cui i giudici di merito avevano dichiarato l'illegittimità del licenziamento di una dipendente, per superamento del periodo di comporto, licenziamento intimato con effetto differito alla cessazione di un periodo di aspettativa non retribuita chiesto dalla dipendente e concesso dalla datrice di lavoro con decorrenza dall'ultimo giorno del periodo di comporto.

Sostiene la società ricorrente che la Corte d'appello non ha esattamente valutato il rapporto esistente tra l'istituto del comporto e quello dell'aspettativa per malattia e che l'aspettativa non produce di per sé automaticamente alcun effetto di trascinamento dello stato di quiescenza del rapporto garantito dall'art. 2110 c.c. Inoltre, in relazione all'interpretazione dell'art. 51 C.C.N.L. imprese di pulizia, la società afferma che tale disposizione contrattuale prevede la facoltà del datore di lavoro di licenziare il dipendente per superamento del periodo di comporto
anche laddove il periodo di aspettativa non sia cessato e esclude il diritto del lavoratore alla prosecuzione del rapporto al termine del periodo di aspettativa.

La Suprema Corte ha ricordato che l'art. 51 del ccnl dipendenti imprese esercente servizi di pulizia, dopo avere disciplinato gli oneri di comunicazione e il trattamento economico per le assenze per malattia e infortunio e dopo aver stabilito in mesi 36 il periodo di comporto, ai commi 7, 8 e 9, stabilisce: "Superati i limiti di conservazione del posto, l'azienda su richiesta del lavoratore concederà un periodo di aspettativa non superiore a 4 mesi durante il quale il rapporto di lavoro rimane sospeso a tutti gli effetti senza decorrenza della retribuzione e di alcun istituto-contrattuale. Detto periodo di aspettativa potrà essere chiesto una sola volta nell'arco della attività lavorativa con la stessa impresa. Decorsi i limiti di cui sopra, l'impresa, ove proceda al licenziamento del lavoratore, corrisponderà il trattamento di fine rapporto di lavoro e l'indennità sostitutiva di preavviso [...]".

Correttamente - affermano i giudici di legittimità - la Corte d'appello ha osservato che, "facendo applicazione dei criteri di ermeneutica negoziale di cui agli artt. 1362 e 1363 cod. civ., occorre interpretare il contratto partendo dal senso letterale delle parole, senza limitarsi ad esso e con il fine di accertare quale sia stata la comune volontà delle parti, tenendo conto altresì del criterio sistematico della correlazione delle singole clausole al senso complessivo dell'atto.

In base a questi criteri va innanzi tutto evidenziato che l'espressione "il rapporto di lavoro rimane sospeso a tutti gli effetti" è già di per sé stessa indicativa della permanenza del vincolo contrattuale durante l'aspettativa e di un rinvio alla cessazione di detto periodo dell'esercizio dei diritti ed obblighi delle parti, permanenza che sarebbe priva di significato se fosse consentito un recesso ad effetti differiti al termine del periodo di aspettativa."

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