L'accertamento giudiziale di legittimità del demansionamento tra fattualità oggettiva e valutazione di adeguatezza

Demansionamento legittimo

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Tra le ipotesi di demansionamento c.d. legittimo di cui all'art. 2103 c.c. al comma 2 è disciplinato, il caso della modifica degli assetti organizzativi aziendali che incidono sulla posizione del lavoratore.

Nello specifico, la lettera del codice afferma che "In caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore, lo stesso può essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore purché rientranti nella medesima categoria legale".

Un mutamento operato nelle condizioni di cui sopra è definibile come un mutamento fattuale subordinato ad una condizione di ordine eziologico; la sua ricognizione fattuale deriva dal fatto che il datore di lavoro conserva il medesimo livello di inquadramento e trattamento retributivo del lavoratore, mentre la subordinazione all'esistenza di un nesso causale viene in considerazione in virtù del fatto che il mutamento sarebbe da considerare secundum legem solo in presenza di un presupposto giustificativo di carattere sostanziale.

Elementi costitutivi

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In termini strutturali la fattispecie in esame consta di tre elementi costitutivi:

1) La necessaria modificazione organizzativa aziendale

2) La modificazione delle mansioni svolte dal dipendente

3) La sussistenza di un nesso di causalità tra i primi due elementi.

Com'è noto, nel momento del contrasto tra le parti, ossia quando il lavoratore decide di opporsi al mutamento unilaterale del datore, si instaura una fase di contenzioso nella quale il dipendente cercherà di dimostrare l'illegittimità del jus variandi, in questa fase l'interprete è chiamato ad accertare la legittimità del demansionamento, il controllo giurisdizionale non è difficoltoso in relazione all'accertamento della sussistenza dell'effettiva riorganizzazione aziendale e della modificazione delle mansioni, in quanto si tratta di fatti facilmente appurabili mediante l'ordinaria cognizione, ma può dirsi lo stesso per l'accertamento del nesso eziologico"

La domanda sorge spontanea alla luce della l. n 183/2010, infatti tale norma stabilisce che "(…) il controllo giudiziale è limitato esclusivamente, in conformità ai principi generali dell'ordinamento, all'accertamento del presupposto di legittimità e non può essere esteso al sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive che competono al datore di lavoro o al committente".

Il nesso di causalità nasce come elemento strutturale di chiara matrice fattuale, ciò suggerisce che la sua sussistenza in relazione ad una data fattispecie è percepibile o non percepibile in maniera del tutto oggettivistica, il che, se portato sul piano del sindacato giurisdizionale si traduce in un'attività accertativa che deve operare ex post, essendo necessario che si esaurisca la catena causale alla quale l'accertamento è riferita.

Nesso di causalità

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È stato osservato in dottrina[1] che una concezione del nesso di causalità ancorata troppo sul profilo dell'oggettività, rischia di provocare problemi teorici non indifferenti, ed infatti non bisogna andare molto lontano con la fantasia per verificare che si tratta di un timore più che fondato, basta proporre un esempio che esasperi ai massimi termini l'oggettività causale: si pensi al datore di lavoro che per fronteggiare un periodo buio e colmo di perdite adibisca un dipendente impiegato a mansioni da magazzino, in modo tale da poter giovarsi del risparmio salariale.

È del tutto palese l'abnorme sproporzione dei due fenomeni, è infatti chiaro che l'adibizione a mansioni inferiori del dipendente per quanto possa portare il datore di lavoro ed un effettivo risparmio, non salverà di certo il bilancio aziendale.

In verità questa riflessione si presta ad un ulteriore approfondimento, poiché il giudizio di sproporzione è un elemento che non attiene alla sfera dell'oggettività, bensì si tratta di un risultato al quale si perviene mediante una valutazione; è proprio questa la scia che ha seguito la giurisprudenza[2] nella sua evoluzione storica che ha riformato il modo di concepire il nesso causale: si è passati da una concezione fattuale e meccanicistica ad una concezione di stampo prettamente valutativo.

La prima conseguenza di questo mutamento nel modo di concepire il nesso di causalità è, da un punto di vista pratico, un diverso approccio all'attività di accertamento, il controllo giudiziale circa la legittimità del demansionamento acquisisce infatti natura prognostica, perché la valutazione di adeguatezza causale non richiede la consumazione della concatenazione causale, bensì si arresta al momento dell'idoneità alla produzione di un determinato effetto finendo dunque con lo rientrare nella sfera dell'apprezzamento valutativo.

In conclusione, è legittimo chiedersi in che misura una concezione della causalità ampliata fino a tal punto possa essere compatibile con il principio di insindacabilità del merito imprenditoriale di cui alla l. 183/2010, in quanto se il legislatore ha avvertito l'esigenza di evidenziare la differenza tra l'ambito giurisdizionale e quello imprenditoriale, gli atti di ingerenza giudiziale nei confronti della sfera organizzativa aziendale sono da ritenere indebiti.

Dott. Gabriele Longo


[1] Perrone F., "Linteresse del lavoratore nel nuovo art.2103 cc: presupposti e limiti del sindacato giurisdizionale sul demansionamento unilaterale e pattizio", in Riv. Giur. Dir. Lav. 3/2019.

[2]Si veda ad esempio Cass 23.10.2001, n 13021.


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