Il Tribunale di Firenze conferma l'orientamento di quello di Pesaro accogliendo il ricorso del leader fiorentino del movimento #IoApro

DPCM Conte illegittimi: il Tribunale di Firenze accoglie il ricorso del leader del movimento #IoApro

Altra sentenza davvero importante quella pubblicata il 09.06.23 (sotto allegata) da parte del Tribunale di Firenze (Dott.ssa Anselmo) che ha accolto il ricorso avverso ordinanza di ingiunzione di pagamento di uno dei Leader del Movimento #IoApro il quale aveva tenuto aperti i propri ristoranti durante il periodo del lockdown disobbedendo così ai DPCM che ne imponevano la chiusura.

Fatti di causa

In data 14.11.2022 il sig. Mohemed El Hawi, che gestisce un esercizio di ristorazione a Firenze decideva di aprire al pubblico il proprio locale nonostante i divieti Governativi e quindi in violazione del DPCM 03.11.2020.

In seguito all'intervento delle forze dell'ordine veniva multato con apposito verbale di contestazione per violazione di quanto stabilito dal suddetto DPCM o dalle linee guida operative per la prevenzione, gestione, contrasto e controllo dell'emergenza COVD-19 nell'attività di "Pubblico Esercizio somministrazione alimenti e bevande" in quanto:

"Teneva aperta l'attività di ristorazione con modalità non consentite. Nello specifico si accertava che alle 22,25 effettuava ristorazione con asporto di n. 1 pizza a persona separatamente identificata" con applicazione di sanzione di € 400,00 e contestuale chiusura dell'esercizio per 24 ore dall'accertamento.

In data 07.06.2021 gli veniva notificato - da parte della Prefettura di Firenze - Ordinanza di Ingiunzione nel quale veniva ordinato:

1) di pagare - entro 30 giorni dalla notifica del presente atto - la somma complessiva di € 812,25 nonché la chiusura per giorni 30 dell'attività.

Avverso la suddetta Ordinanza di Ingiunzione il ristoratore mediante l'Avvocato fiorentino Lorenzo Nannelli proponeva ricorso avanti al Tribunale di Firenze ritenendo il DPCM profondamente ingiusto e sostanzialmente illegittimo in quanto non motivato e quindi in contrasto con l'art. 3 L. 241/1990 che impone alla Pubblica Amministrazione il dovere di trasparenza nei propri processi decisionali e di motivazione dei propri provvedimenti.

A tale ultimo proposito il suddetto legale allegava in giudizio un importante precedente giurisprudenziale (Sentenza n. 97/22 resa dal Tribunale di Pesaro) che aveva accolto in un caso assolutamente "identico" a quello in oggetto il ricorso in opposizione a sanzione amministrativa presentato (sempre dal medesimo legale) per la tutela di un altro "ristoratore disobbediente", disapplicando il medesimo DPCM 03.12.2020, ed annullando conseguentemente la relativa Ordinanza di Ingiunzione emessa dalla Prefettura Pesarese.

Identiche motivazioni del tribunale di Pesaro

Ed infatti, il Tribunale di Firenze dopo aver svolto un richiamo alla normativa emergenziale di riferimento (D.L. 23 Febbraio 2020, n. 6, convertito, con modificazioni della legge 5 marzo 2020 n. 13 ed il D.L. 19/2020) offre una qualificazione giuridica ai DPCM previsti dal D.L. 6/2020 e successive modificazioni. Quindi il Giudice dopo attenta disamina conclude che il DPCM rientra in ogni caso nella categoria degli atti amministrativi.

La funzione dei DPCM introdotti dal D.L. 6/2020 è quella di dare concreta attuazione e regolazione alla situazione di epidemia da "Covid 19", proprio perché la sua velocità di emanazione consente di rispondere meglio alla velocità di diffusione del virus.

Individuati i principi fondamentali dal decreto convertito, l'esatta definizione tecnica ed attuazione delle norme per la convivenza civile a seconda del rischio epidemiologico individuato, è affidata allo strumento del DPCM, ma nell'esercizio di una specifica discrezionalità amministrativa.

Tuttavia, quest'ultima, per espressa previsione del D.L. 19/2020, deve necessariamente rispondere a criteri di proporzionalità, adeguatezza e ragionevolezza che connotano ogni fonte di diritto amministrativo.

Lo strumento attraverso cui si rendono visibili la logicità e la ragionevolezza della decisione, consiste nell'enunciazione dei presupposti e dei motivi su cui si fonda un atto amministrativo "necessitato" come ritenuto dalla stessa pronuncia della Corte Costituzionale (cfr. sentenza 198/2021).

La suddetta pronuncia viene ritenuta una "illuminante chiave interpretativa" da parte del Giudice Fiorentino.

Dunque il DPCM sarebbe una sorta di "atto amministrativo generale" ed in quanto tale è assoggettato al sindacato del Giudice.

L'espresso riferimento operato dalla Corte Costituzionale alla sindacabilità dei DPCM da parte del giudice impone di far riferimento unicamente alla logicità della motivazione, giacchè l'opportunità delle scelte riservate all'Amministrazione non consente al giudice di sostituirsi ad essa, ma unicamente di verificare la congruità del percorso logico seguito dalla P.A..

Quanto alla motivazione dell'atto amministrativo occorre che la stessa espliciti i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche in coerenza alle risultanze dell'istruttoria, e ciò anche avuto riguardo all'atto amministrativo necessitato in cui l'Amministrazione si limiti ad un accertamento delle condizioni di fatto che impongono l'adozione dell'atto amministrativo medesimo.

L'omessa esternazione del percorso giustificativo e dell'iter logico seguito dall'amministrazione determina pertanto l'illegittimità del provvedimento, ed il conseguente dovere del giudice civile di disapplicarlo.

La motivazione deve essere esternata chiaramente attraverso espressioni comprensibili, logiche e percepibile all'esterno.

In sintesi, l'attestazione dell'avvenuto rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza non può emergere se non dalla motivazione dell'atto stesso che garantisce la trasparenza dell'azione amministrativa, rendendola controllabile da parte dell'opinione pubblica, affermando la responsabilizzazione degli organi della P.A. (art. 97 Cost.).

Poiché la proporzionalità deve essere misurata in concreto in base al livello di rischio, l'adozione dell'atto amministrativo nello specifico, troverebbe giustificazione nelle indicazioni fornite dal Comitato Tecnico-Scientifico, a cui il D.L. 19/2020 fa espressamente riferimento per l'adozione delle misure sanitarie.

Nell'ipotesi di specie, il DPCM del 03 dicembre 2020 indica tra i presupposti di fatto: "l'evolversi della situazione epidemiologica, il carattere particolarmente diffusivo dell'epidemia e l'incremento di casi sul territorio nazionale; […] le dimensioni sovranazionali del fenomeno epidemico e l'interessamento di più ambiti sul territorio nazionale".

Come da indicazioni del D.L. 19/2020, il DPCM del 3 dicembre 2020 fa espresso riferimento al verbale n. 133 della seduta del 3 dicembre 2020 del Comitato Tecnico Scientifico di cui all'ordinanza del Capo del Dipartimento della protezione civile 3 Febbraio 2020 n. 630 e successive modificazioni e integrazioni.

Orbene esaminata attentamente la parte introduttiva del DPCM in commento ed il Verbale del CTS non emergono specifiche indicazioni sulla gravità ed incidenza della diffusione del virus tali da rendere congrue, proporzionate ed adeguate le misure adottate.

L'attività comparativa svolta, comportando la compressione di diritti costituzionalmente garantiti, necessitava di un adeguato impianto giustificativo, soprattutto nel momento in cui le decisioni adottate dal DPCM del 3 dicembre 2020 determinavano una modifica delle disposizioni precedentemente adottate, che consentivano senza limitazioni di orario e di luogo lo svolgimento dell'attività di ristorazione, non differenziando ad esempio il ristorante dalle aree di servizio.

In tal caso, la precisa differenziazione, all'interno delle disposizioni richiamate, tra le attività consentite e non consentite, nonché l'identificazione della fascia oraria consentita per lo svolgimento dell'attività di ristorazione, si traduce in una precisa scelta da parte dell'Amministrazione che avrebbe dovuto essere supportata da dati scientifici precisi, nonché da spiegazioni tecniche in relazione al maggior rischio di diffusione del contagio nelle attività e negli orari non consentiti.

Nessuna indicazione è stata fornita sul punto, se non tramite generici riferimenti "all'evolversi della situazione epidemiologica" ed "alla congruità delle misure adottate".

In altri termini, la specificità delle misure adottate non si rivela congrua e logica rispetto alla genericità dei presupposti addotti, privi di specifiche indicazioni di rischio, sia dal punto di vista sanitario che tecnico.

Neppure erano state indicate le ragioni per le quali quelle (precedenti) misure restrittive in vigore che elencavano minuziosamente le cautele da osservarsi nell'esercizio dell'attività di ristorazione, non erano ritenute più idonee a prevenire il contagio, tanto da aver determinato la chiusura delle attività.

Illegittimità del DPCM: la decisione di Firenze

Ne consegue l'illegittimità del DPCM, sia che lo si intenda assimilare alla tipologia dell'ordinanza contingibile ed urgente, sia che lo si voglia piuttosto assimilare alla tipologia dell'atto amministrativo necessitato, non risultando esplicitato, neanche tramite l'istituto della motivazione per relationem, i presupposti di fatto, nonché le ragioni tecnico-scientifiche poste a fondamento dell'adozione delle misure prescelte.

In proposito, non può ritenersi utile allo scopo il richiamo al verbale n. 133 della seduta del 3 dicembre 2020 del Comitato Tecnico Scientifico di cui all'ordinanza del Capo del Dipartimento della protezione civile 3 Febbraio 2020 n. 630 e successive modificazioni e integrazioni, in quanto, all'interno del verbale suddetto altro non è dato leggere se non una valutazione di "congruità" in ordine alle misure adottate con il DPCM qui in commento, per contenere il contagio, rapportate all'imminente periodo natalizio e alla fase epidemiologica in essere.

Il tutto senza alcuna specificazione che tenesse conto, ad esempio, dello specifico livello di contagiosità al momento dell'adozione del DPCM, in relazione alle attività fino a quel momento autorizzate e consentite; della probabile curva di contagio prevista per l'imminenza delle festività, sulla base della diffusività del virus e delle restrizioni che si andavano ad introdurre; senza alcuna specificazione delle motivazioni tecnico scientifiche per le quali veniva prevista una regolamentazione differenziata per la medesima attività di ristorazione (ad esempio ristoranti per i quali veniva introdotto il limite orario di esercizio dalla ore 5.00 alle ore 18.00, ed aree di servizio in cui veniva svolto il servizio di somministrazione di alimenti e bevande senza limitazioni di orario, e ancora, le strutture alberghiere nelle quali era ammesso per la propria clientela il medesimo servizio di ristorazione senza previsione di alcun limite di orario -articolo 1 comma 10 lettere gg) e hh) DPCM 3.12.2020).

Si intende dire che ogni valutazione contenuta nel DPCM deve ritenersi sia mancante di riferimenti specifici utili a giustificare (rectius motivare) l'adozione di un siffatto strumento che, avrebbe imposto la previsione di una motivazione specifica, non soddisfatta da un generico riferimento ai Verbali del Comitato tecnico-scientifico (Cts); Verbali che il governo stesso, non si dimentichi, aveva classificato come "riservati" o "secretati.

Proprio l'insufficienza e l'incompletezza di motivazione nei termini anzidetti che è dato ravvisare nel DPCM 3.12.2020, determina l'impossibilità di ritenere rispettati i parametri di proporzionalità e adeguatezza previsti dall'art.2 comma 1 D.L.19/2020, e autorizza la disapplicazione da parte del giudice ordinario nell'esercizio del potere derivante dall'art.5 della legge n.2248 del 1865 Allegato E), ed il conseguente annullamento dell'ordinanza ingiunzione qui opposta.

* a cura dell'Avv. Lorenzo Nannelli - Avvocati Liberi

Scarica pdf Trib. Firenze n. 1737/2023

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