La Cassazione si esprime sul lavoro straordinario e sulla sua eventuale imposizione da parte del datore di lavoro

Lavoro straordinario può essere imposto?

Il lavoro straordinario può essere imposto dal datore di lavoro? A questa domanda ha risposto la Cassazione con l'ordinanza n. 10623/2023 (sotto allegata).

Nella vicenda, la Corte d'appello di Ancona respingeva il reclamo incidentale del lavoratore e dichiarava la legittimità del licenziamento allo stesso intimato a causa della mancata effettuazione del lavoro straordinario per circa due settimane, in spregio alla direttiva aziendale con la quale era stato stabilito l'aumento dell'orario di lavoro per ragioni produttive, e considerava la recidiva, anche specifica, nella quale era incorso il lavoratore per fatti puniti con sanzione conservativa.

L'uomo adiva il Palazzaccio lamentando tra l'altro "violazione e falsa applicazione dell'art. 7, Sez. IV, Titolo III del contratto collettivo Industria 2012, anche in relazione al d. lgs. n. 66 del 2003, art. 5 con riferimento alla libertà datoriale di imporre prestazioni di lavoro straordinario; contesta in particolare la interpretazione del contratto collettivo nel senso di consentire alla società di disporre ad libitum delle prestazioni di lavoro straordinario nei confronti della indistinta platea dei lavoratori, purché contenuta nel limite di ottanta ore annue", nonché "violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell'art. 2702 c.c. con riferimento all'efficacia vincolante della disposizione datoriale di effettuazione di lavoro straordinario".

Per gli Ermellini, l'uomo ha torto.

La piana lettura della previsione collettiva di riferimento - art. 7 c.c.n.l. applicabile -, conferma la correttezza dell'interpretazione della Corte di merito circa la possibilità per la parte datoriale di richiedere al lavoratore prestazioni di lavoro straordinario nei limiti della cd. quota esente, senza preventiva consultazione o informazione alle organizzazioni sindacali nel rispetto dei limiti di due ore giornaliere e otto ore settimanali e con un preavviso di almeno 24 ore.

Inoltre, secondo la Cassazione, la Corte ha espressamente operato "la valutazione di proporzionalità in relazione agli aspetti oggettivi e soggettivi del fatto ascritto che ha ritenuto tali da giustificare la sanzione espulsiva anche a prescindere dalla contestazione della recidiva".

In definitiva, la sentenza impugnata ha ritenuto la condotta accertata non sussumibile nelle ipotesi sanzionate dal contratto collettivo con misura conservativa rilevando che "tali ipotesi si connotavano per il carattere episodico ed isolato della manifestazione di insubordinazione mentre nello specifico si era in presenza di un prolungato e sistematico contegno del dipendente improntato ad 'assenza di spirito collaborativo', a 'pervicace violazione di un obbligo imposto da direttiva aziendale conformemente alle previsioni del contratto collettivo' ed 'a plateale noncuranza degli interessi dell'impresa datrice di lavoro', concludendo che, "in ragione degli elementi richiamati, la condotta del dipendente si connotava come di notevole inadempimento degli obblighi rivenienti dal rapporto di lavoro".

Da qui il rigetto del ricorso principale e di quello incidentale.

Scarica pdf Cass. n. 10623/2023

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