La Cassazione ribadisce che nella convivenza more uxorio, a differenza del matrimonio, non vi è alcun obbligo giuridico di coabitazione

Convivenza di fatto e coabitazione

Nella convivenza di fatto more uxorio, a differenza del matrimonio, la scelta di coabitare è libera e non consegue ad un obbligo giuridico. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 6810/2023 (sotto allegata).

La vicenda in esame riguardava una coppia non sposata con due figlie minori che entrambi chiedevano venissero collocate presso ciascun genitore. In appello, la Corte di Brescia, riformando la decisione del giudice di prime cure previa conferma dell'affidamento condiviso delle figlie ad entrambi i genitori, stabiliva il collocamento prevalente delle figlie presso la madre, alla quale era stata assegnata la casa familiare. Inoltre, poneva a carico del padre un assegno di mantenimento per ciascuna figlia.

L'uomo ricorreva per Cassazione, contro la statuizione dell'assegnazione della casa familiare e la collocazione prevalente, ma per gli Ermellini la decisione d'appello è corretta.

La Suprema Corte ha sottolineato infatti che come è noto, per la cd. famiglia di fatto

non trova applicazione la disciplina delineata dagli artt. 143 e ss. c.c., "perché nella convivenza di fatto more uxorio la scelta di coabitare è libera e non consegue ad un obbligo giuridico, tanto è vero che 'In materia di famiglia di fatto non fondata sul matrimonio, non essendo le parti legate da vincolo di coniugio, la cessazione del rapporto avviene ad nutum, ovvero senza necessità per l'autorità giudiziaria di accertare il carattere irreversibile della crisi del rapporto attraverso l'espletamento di tentativo di conciliazione, atteso che l'esame del Tribunale risulta elettivamente diretto alla verifica dell'adeguatezza degli accordi raggiunti per l'interesse della prole minore, alla luce del disposto normativo di cui all'art. 155 comma 2 c.c.'" (cfr. Cass. n. 10102/2004).

Ne consegue che, una volta, intervenuta la cessazione della convivenza di fatto more uxorio - come nel caso in esame - trovano applicazione proprio gli artt. 337 bis e ss. c.c.

Per realizzare la finalità di cui al comma 1 dell'art. 337 ter c.c., "intesa a consentire il pieno esercizio della bigenitorialità, il legislatore affida al giudice, nei procedimenti di cui all'art. 337 bis c.c., come avvenuto nel caso in esame, il compito di adottare i provvedimenti necessari con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale dei minori. Ed in questo ambito egli valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all'istruzione e all'educazione dei figli. Prende atto, se non contrari all'interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori. Adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole, ivi compreso, in caso di temporanea impossibilità di affidare il minore ad uno dei genitori, l'affidamento familiare".

A differenza di quanto ritiene il ricorrente, il legislatore quando parla di affidamento "ad entrambi i genitori", spiegano gli Ermellini, "si riferisce appunto all'affidamento condiviso cui consegue l'esercizio congiunto della responsabilità genitoriale, sul quale specificamente ritorna nell'art. 337 quater c.c., e non al collocamento fisico ('presenza') dei minori, sul quale il giudice si deve anche distintamente pronunciare, e che è disciplinato dal successivo periodo dell'art. 337 ter c.c., ove è detto 'determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all'istruzione e all'educazione dei figli', richiamando all'uopo gli oneri di assistenza materiale e morale a cui è tenuto ciascun genitore".
Correttamente, pertanto la Corte di appello ha ritenuto che il Tribunale avesse omesso la doverosa pronuncia in merito a questi specifici provvedimenti concernenti i figli ed ha deciso, nel rispetto della disposizione invocata ed avendo preso atto della volontà comune di non proseguire nel progetto di coppia, in merito all'assegnazione della casa familiare ed alla collocazione privilegiata dei minori presso la madre, con regolamentazione del diritto di visita paterno, con ampia motivazione immune da vizi logico/giuridici.

Per cui, la prospettazione del ricorrente di una assegnazione congiunta della casa familiare non trova alcun riscontro nella disciplina invocata ed erroneamente interpretata e ciò "a prescindere dalla ricorrenza o meno di una intollerabilità della convivenza, essendo all'uopo sufficiente, per l'adozione dei provvedimenti in esame, l'avvenuta cessazione della convivenza more uxorio in assenza di una volontà comune e concorde dei genitori - già conviventi di fatto - alla prosecuzione della convivenza ad altro titolo".

Nulla di fatto, neanche in ordine alla possibilità di disporre l'assegnazione della casa ai figli, con rotazione dei genitori: la questione è inammissibile in quanto non tempestivamente proposta in fase di merito e in ogni caso avrebbe dovuto essere rappresentata "in modo pertinente e concreto, come opzione, che presuppone una seria e concordata organizzazione dei genitori a ciò funzionale, nel rispetto e nell'esercizio della responsabilità genitoriale di ciascuno - e che - avrebbe potuto rispondere al reale interesse dei minori ed alle loro esigenze di crescita ed essere idonea a consolidare l'habitat e le consuetudini di vita, finalità a servizio della quale è prevista l'assegnazione della casa familiare, di modo da consentire al giudicante gli approfondimenti istruttori, anche officiosi, e le valutazioni del caso".

Da qui il rigetto del ricorso.

Scarica pdf Cass. n. 6810/2023

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