I chiarimenti del Garante privacy che, con il provvedimento n. 8/2023, ha sanzionato un'azienda per aver mantenuto attiva la posta elettronica dell'ex dipendente e preso visione dei messaggi

Difesa in giudizio e protezione dati personali

"Il legittimo interesse a trattare dati personali per difendere un proprio diritto in giudizio non annulla il diritto dei lavoratori alla protezione dei dati personali. Tanto più se riguarda una forma di corrispondenza, come i messaggi di posta elettronica, la cui segretezza è tutelata anche costituzionalmente". Così il Garante privacy che, con l'ordinanza ingiunzione n. 8/2023, ha sanzionato un'azienda che, dopo l'interruzione della collaborazione con un'esponente di una cooperativa, ne aveva mantenuto attivo l'account di posta elettronica, prendendo visione del contenuto e impostando un sistema di inoltro verso un dipendente della società.

I fatti originavano dai nomi di potenziali clienti raccolti dalla collaboratrice in occasione di una fiera in costanza di rapporto di lavoro. Risolto il contratto poi, secondo l'azienda il tentativo della donna di contattare i suddetti clienti aveva portato a un contenzioso giudiziale. Per cui, nel timore di perdere i rapporti coi potenziali clienti, l'azienda non si era limitata a scrivere per spiegare loro che la persona era stata rimossa, ma ne aveva anche visionato le comunicazioni.

Il Garante però precisa che "né l'esigenza di mantenere i rapporti con i clienti né l'interesse a difendere un proprio diritto in giudizio, legittimano un tale trattamento di dati personali". Al fine di realizzare un adeguato bilanciamento degli interessi in gioco (necessità di prosecuzione dell'attività economica del titolare e diritto alla riservatezza dell'interessato) sarebbe bastato, infatti, "attivare un sistema di risposta automatico, con l'indicazione di indirizzi alternativi da contattare, senza prendere visione delle comunicazioni in entrata sull'account".


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