La mancata diagnosi di una patologia ad esito sicuramente infausto lede il diritto del paziente a compiere scelte consapevoli per il tempo residuo da vivere

Mancata diagnosi e diritto di autodeterminazione

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Con la recente sentenza n. 34813/2021 la Cassazione torna ad occuparsi del delicato tema della mancata diagnosi di una malattia inguaribile.

Al riguardo, la Suprema Corte ha precisato che il bene oggetto di lesione non è soltanto la salute ma anche il diritto del paziente di scegliere autonomamente come vivere la fase terminale della propria vita.

Danno non patrimoniale da ritardata diagnosi

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La vicenda trae origine dalla mancata diagnosi di una malattia oncologica (melanoma) nei confronti di una paziente che si era sottoposta a controllo dal proprio medico dermatologo.

Sia nel primo grado di giudizio che in Corte d'appello, il medico non veniva considerato responsabile del decesso della paziente.

Infatti, nonostante fosse stato riconosciuto che il medico non si era accorto immediatamente della presenza di un melanoma, era altresì stato dimostrato che sin dalla prima visita la malattia era già in uno stato avanzato di metastasi.

In altre parole, la malattia era da considerarsi non guaribile sin dal primo consulto, pertanto il decesso sarebbe stato comunque inevitabile anche se il dermatologo si fosse accorto della presenza del melanoma e del conseguente stato metastatico. Non risultava provato, in particolare, che un'immediata diagnosi corretta avrebbe garantito un prolungamento della vita della paziente.

Diritto di autodeterminarsi e responsabilità del medico

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Interessata della controversia dagli eredi della paziente, la Corte di Cassazione ha avuto modo di precisare quanto segue, anche sulla base di alcuni suoi precedenti arresti giurisprudenziali, in tema di risarcimento del danno non patrimoniale.

L'aspetto rilevante della questione, sostengono gli Ermellini, non risiede nell'inevitabilità dell'esito infausto della patologia, ma nella possibilità, che si è negata alla paziente, di gestire con consapevolezza e con decisioni proprie l'ultima fase della sua vita.

La mancata o ritardata diagnosi della patologia oncologica, in altre parole, ha impedito alla paziente non solo di decidere se e a quale trattamento sottoporsi, ma anche di affrontare il resto della propria vita e delle proprie scelte quotidiane con la consapevolezza che la malattia - peraltro ignorata - avrebbe avuto certamente esito infausto.

Peraltro, con particolare riferimento al diritto alla salute (che pure risultava leso dalla mancata conoscenza della malattia), veniva citato il principio di diritto già espresso con il precedente provvedimento Cass. ord. 7260/18, con cui era evidenziato che "in caso di colpevoli ritardi nella diagnosi di patologie ad esito infausto, l'area dei danni risarcibili non si esaurisce nel pregiudizio recato alla integrità fisica del paziente, ma include il danno da perdita di un "ventaglio" di opzioni, con le quali affrontare la prospettiva della fine ormai prossima, ovvero "non solo l'eventuale scelta di procedere (in tempi più celeri possibili) all'attivazione di una strategia terapeutica, o la determinazione per la possibile ricerca di alternative d'indole meramente palliativa, ma anche la stessa decisione di vivere le ultime fasi della propria vita nella cosciente e consapevole accettazione della sofferenza e del dolore fisico (senza ricorrere all'ausilio di alcun intervento medico) in attesa della fine, giacché, tutte queste scelte "appartengono, ciascuna con il proprio valore e la propria dignità, al novero delle alternative esistenziali".

Perdita di chance e autodeterminazione, differenza

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Da quanto sopra, si evince che il danno alla persona derivante da responsabilità medica in caso di mancata diagnosi di malattia terminale non riguarda solo il bene della vita "salute" (comunque coinvolto, in ordine alla scelta della terapia palliativa da attuare), ma anche più latamente il diritto di autodeterminarsi nelle proprie scelte di vita, in virtù di una corretta conoscenza del proprio stato di salute.

In tal senso, il diritto alla autodeterminazione, la cui lesione ha impedito alla paziente la consapevole predisposizione e organizzazione materiale e spirituale del proprio tempo residuo, si distingue dalla fattispecie della perdita di chance, poiché la condotta colpevole del sanitario non ha avuto alcuna incidenza causale sullo sviluppo della malattia, sulla sua durata e sull'esito finale (cfr. Cass. 29983/19).


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