Per la Cassazione, integra il reato di stalking il corteggiamento prolungato, insistente, molesto e non gradito dalla persona offesa che le provoca ansia, disagio e paura

Condannato per stalking il corteggiatore insistente

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Integra il reato di atti persecutori (stalking) il corteggiamento insistente e molesto finalizzato ad avere contatti con la vittima, nonostante il suo chiaro rifiuto. In questo modo non solo si finisce per ingenerare nella vittima ansia e paura, ma attraverso l'intromissione continua e non gradita nella sua sfera privata si pregiudica la sua libertà. Questo sinteticamente, quanto affermato dalla Cassazione nella sentenza n. 26529/2021 (sotto allegata).

La vicenda processuale

La Corte di Appello conferma la sentenza con cui il Tribunale ha condannato l'imputato per il reato di atti persecutori ai danni di una donna. Accertate le ripetute telefonate, l'invio di messaggi, i pedinamenti, l'invio di doni non graditi con l'obbligo di doverli accettare, le visite improvvise sul posto di lavoro e le dichiarazioni a terzi del progetto di vita che solo l'imputato aveva progettato, senza consultare la donna desiderata.

Condotte che hanno ingenerato nella vittima uno stato persistente di ansia, stress e paura e che l'hanno costretta a cambiare le proprie abitudini di vita e lavorative.

L'imputato considera il suo corteggiamento cortese, non molesto né insistente

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L'imputato però ricorre in Cassazione per far valere i seguenti motivi di doglianza.

  • Con il primo motivo lamenta la mancata dichiarazione della nullità della sentenza di primo grado per motivazione carente, che il giudice di appello non ha integrato, rendendo così impossibile comprendere l'iter logico che ha portato alla sua condanna. Le argomentazioni appaiono infatti illogiche perché in realtà il corteggiamento non è stato molesto e insistente e poi perché non sono stati dimostrati i cambiamenti delle propri abitudini di vita della persona offesa
    , le cui dichiarazioni sono rimaste prive di riscontro. La condanna si fonda quindi su un quadro probatorio incompleto, che non dimostra la colpevolezza dell'imputato oltre ogni ragionevole dubbio.
  • Con il secondo invece l'imputato lamenta la mancata assunzione del teste chiesto dalla difesa nel giudizio di primo grado. Teste essenziale che anche la Corte di appello non ha valutato perché ha erroneamente rigettato la rinnovazione istruttoria.

Condannato il corteggiatore insistente che non accetta il "no" della donna

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Per gli Ermellini il ricorso dell'imputato è inammissibile per genericità dei motivi e per il tentativo di ottenere in sede di legittimità una rivalutazione dei fatti e delle prove, preclusa in Cassazione. Nel caso di specie inoltre la condanna è stata confermata da una doppia conforme, che per la Corte ha un "maggiore tenuta motivazionale." Per questo "l'indagine di legittimità deve limitarsi al vaglio della correttezza del procedimento sotto i profili della completezza di valutazione del compendio probatorio e dell'assenza di manifesto travisamento delle prove (...)."

Fatta questa premessa, la Corte, nel passare all'esame dei singoli motivi, rigetta quello con cui è stata eccepita la nullità della sentenza di primo grado perché la Corte di Appello ha fornito sul punto una motivazione congrua e ragionevole, delineando le condotte moleste e gli effetti che le stesse hanno prodotto sulla persona offesa, sottolineando la reiterazione dei comportamenti molesti finalizzati alla produzione dell'evento finale, in grado di provocare nella vittima una accumulo di disagio che sfocia in un vero e proprio stato di prostrazione, capace di tradursi in ansia, paura e cambiamento delle abitudini di vita.

Si tratta, nel caso di specie, di avvicinamenti reiterati dell'imputato alla persona offesa con messaggi, telefonate, visite a sorpresa sul posto di lavoro. Tutte condotte che per ampiezza, durata e insistenza sono capaci d'ingenerare sentimenti d'imbarazzo, mortificazione e disagio, che nella persona offesa sono sfociati in un vero e proprio stato di ansia, anche perché protratti per due anni consecutivi e mai tollerati. La donna ha infatti sempre manifestato di non gradire il corteggiamento dell'imputato e di non condividere affatto i programmi di vita insieme unilateralmente ideati dall'uomo.

La sentenza quindi ha ben argomentato le ragioni che la hanno condotta alla condanna finale perché le dichiarazioni della persona offesa sono munite di riscontri plurimi, anche se nel caso di specie l'attendibilità della vittima non è mai stata messa in dubbio.

Generiche le lamentele relative all'erronea ricostruzione dei fatti e pienamente motivato dalla Corte di Appello anche l'esame sull'elemento soggettivo del reato. Per principio ormai consolidato della Corte di Cassazione l'elemento soggettivo del reato di stalking è il dolo generico, che richiede la volontà di porre in essere più condotte moleste e minacciose, nella consapevolezza della loro abitualità e idoneità a produrre ansia e paura.

La volontà persecutoria è stata ben evidenziata dalla Corte di Appello, soprattutto perché l'imputato dopo un chiaro rifiuto della donna e l'intervento di terzi finalizzato a farlo desistere, ha perseverato, dimostrando in questo modo di accettare il verificarsi dell'evento.

Del resto, come precisato in altre sentenze "integra il reato di molestie un corteggiamento ossessivo e petulante, volto ad instaurare un rapporto comunicativo e confidenziale con la vittima, a ciò manifestamente contraria, realizzato mediante una condotta di fastidiosa, pressante e diffusa reiterazione di sequenze di saluto e contatto, invasive dell'altrui sfera privata, con intromissione continua, effettiva e sgradita nella vita della persona offesa e lesione della sua sfera di libertà."

Manifestamente infondato anche il secondo motivo poiché nel caso di caso di specie il giudice ha ritenuto di poter decidere sulla base degli atti, in quanto l'indagine dibattimentale è risultata completa, senza quindi la necessità di dover procedere a una rinnovazione istruttoria.

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Scarica pdf Cassazione n. 26529/2021

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