Il Tribunale di Treviso riconosce sotto il profilo economico le mansioni superiori all'impiegata AdE a cui è stata adibita non avendo né titolo di studio né profilo professionale

Dipendenti Agenzia delle Entrate e riconoscimento mansioni superiori

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Nel pubblico impiego contrattualizzato, il dipendente assegnato allo svolgimento, al di fuori dei casi consentiti, di mansioni corrispondenti a una qualifica superiore rispetto a quella posseduta, avrà diritto anche in relazione a tali compiti a una retribuzione proporzionata e sufficiente ai sensi dell'art. 36 della Costituzione.

Ciò a condizione che le mansioni superiori siano state svolte, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, nella loro pienezza e sempre che, in relazione all'attività spiegata, siano stati esercitati i poteri ed assunte le responsabilità correlate ad esse.

Lo ha rammentato il Tribunale del Lavoro di Treviso nella sentenza n. 136/2020 (sotto allegata) in materia di riconoscimento delle mansioni superiori, sotto il profilo economico, di dipendente dell'Agenzia delle Entrate.

La ricorrente, assistente tributaria di II area funzionale, lamenta di aver continuativamente svolto mansioni superiori rispetto all'inquadramento posseduto, avendo nel tempo svolto in autonomia tutta una serie di attività tra cui quelle di accertamento e contestazione nei confronti di soggetti sospettati di evasione fiscale, provvedendo anche alla predisposizione degli avvisi di accertamento e delle denunce penali in presenza dei relativi presupposti di legge, assumendo il ruolo di responsabile del procedimento nell'ambito delle segnalazioni inoltrate ali'Autorità giudiziaria.

Mansioni superiori e differenze retributive

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Il Tribunale rileva come la giurisprudenza di legittimità, nelle controversie tese ad ottenere il riconoscimento di qualifica superiore o comunque volte a dimostrare lo svolgimento di mansioni superiori (per rivendicare le relative differenze retributive), abbia più volte affermato che il procedimento logico giuridico alla base dell'indagine diretta alla determinazione dell'inquadramento del lavoratore non può prescindere da tre fasi successive.

Devono, in pratica, accertarsi in fatto le attività lavorative in concreto svolte nonché individuarsi le qualifiche e gradi previsti dal contratto collettivo di categoria. Andrà poi effettuato un raffronto tra il risultato della prima indagine e i testi della normativa contrattuale individuati nella seconda.

All'esito di tale procedimento, e ai fini dell'applicazione della tutela apprestata dall'art. 2103 c.c., la condizione da verificare è che l'assegnazione alle mansioni superiori sia stata piena, nel senso che abbia comportato l'assunzione della responsabilità e l'esercizio dell"autonomia proprie della corrispondente qualifica superiore.

Pubblico impiego e mansioni superiori

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Nello specifico settore del pubblico impiego, prosegue la sentenza, è consolidato l'orientamento giurisprudenziale secondo cui "in materia di pubblico impiego contrattualizzato (...) l'impiegato cui sono state assegnate, al di fuori dei casi consentiti, mansioni superiori (anche corrispondenti ad una qualifica di due livelli superiori a quella di inquadramento) ha diritto, in conformità alla giurisprudenza della Corte costituzionale (fra le altre. sentenze n. 908 del 1988; n. 57 del 1989: n. 236 del 1992: n. 296 del 1990), ad una retribuzione proporzionata e sufficiente ai sensi dell'art. 36 Cost."

Tale retribuzione deve trovare integrale applicazione, senza sbarramenti temporali di alcun genere, pure nel pubblico impiego privatizzato, sempre che le mansioni superiori assegnate siano siate svolte, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, nella loro pienezza, e sempre che, in relazione all'attività spiegata, siano stati esercitali i poteri e assunte le responsabilità correlate a dette superiori mansioni (cfr. Cass. SS.UU. n. 25837/2007 e Cass. n. 27887/2009).

Condanna ex art. 52 d.lgs. n. 165/2001

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Nel caso di specie, le emergenze istruttorie conducono il giudice ad affermare che le mansioni svolte dalla ricorrente siano senz'altro da ricondurre a quelle sussumibili nella terza area funzionale e, per l'effetto, l'Agenzia delle Entrate viene condannata, ex art. 52 d.lgs. 165/01, al pagamento in suo favore delle differenze retributive tra quanto avrebbe percepito con un inquadramento nella III area funzionale, livello retributivo F1, e quanto ha effettivamente percepito, oltre la maggior somma tra interessi legali e rivalutazione monetaria dalle singole scadenze al saldo.

Tuttavia, per il Tribunale è fondata l'eccezione di prescrizione sollevata dalla resistente Agenzia delle Entrate: essendo rivendicate differenze retributive, spiega il Tribunale, devono intendersi in ogni caso prescritte le somme riferibili al periodo anteriore al quinquennio calcolato a ritroso dalla data di notifica del ricorso.


Si ringrazia l'Avv. Silvia Benacchio per l'invio del provvedimento


Scarica pdf Tribunale di Treviso, sentenza n. 136/2020

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