Rapporto di lavoro provato dalle buste paga firmate, siglate o timbrate se il datore non dimostra che divergono dal libro unico del lavoro

Prova rapporto di lavoro

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La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 13781/2020 (sotto allegata) ribadisce che le copie delle buste paga firmate, siglate o timbrate dal datore provano il credito che il dipendente ha intenzione di far valere nella procedura fallimentare del datore di lavoro.

Il Giudice di primo grado accoglie l'opposizione di una lavoratrice, esclusa dalla stato passivo della S.p.a di cui è stata dipendente, perché ha ritenuto provato il rapporto di lavoro della stessa con la società. La lavoratrice ha infatti prodotto in giudizio le buste paga, la lettera di assunzione e il CUD sottoscritto dalla procedura fallimentare. Il fatto che la stessa abbia fatto parte del consiglio di amministrazione della società non si pone in contrasto con l'esistenza di un rapporto di lavoro.

Valore probatorio documenti prodotti

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La S.p.a non accettando l'esito del giudizio di merito ricorre in Cassazione, sollevando quattro motivi di doglianza. Con i primi due contesta in sostanza il fatto che il giudice abbia ritenuto sussiste il rapporto di lavoro solo sulla base dei documenti prodotti dall'opponente, senza verificare in concreto le modalità di svolgimento della prestazione.

Con il terzo lamenta la violazione dell'art 24 della Costituzione e dell'art. 47 della Carta dei Diritti fondamentali dell'Unione Europea per la mancata ammissione delle istanze istruttorie avanzate per dimostrare l'inesistenza del rapporto.

Con il quarto infine denuncia l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione al valore probatorio che il giudice ha attribuito alla documentazione prodotta dalla lavoratrice.

Rapporto provato se il datore non dimostra divergenza buste paga e libro unico

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La Cassazione con l'ordinanza n. 13781/2020 rigetta il ricorso della società datrice e tratta congiuntamente i vari motivi del ricorso della datrice perché tutti incentrati sulla prova del rapporto di lavoro subordinato con la lavoratrice a cui è stato riconosciuto il diritto far valere il proprio credito da lavoro nella procedura fallimentare della società datrice.

Gli Ermellini, nel respingere il ricorso della società datrice ricordano infatti che, secondo giurisprudenza di legittimità ormai consolidata "le copie delle buste paga rilasciate al lavoratore dal datore di lavoro, ove munite dei requisiti previsti dall'art. 1, comma 2, I. 4/1953 (vale a dire, alternativamente, della firma, della sigla o del timbro di quest'ultimo), hanno piena efficacia probatoria del credito che il dipendente intenda insinuare al passivo della procedura fallimentare riguardante il suo datore di lavoro."

Valore probatorio che deriva dal combinato disposto degli artt. 39 d. I. 112 del 2008, 1, 2 e 5 I. 4 del 1953, in quanto il contenuto delle buste paga è obbligatorio e oggi sanzionato in via amministrativa "e, come tale, è di per sé sufficiente a provare il credito maturato dal lavoratore" a condizione che il libro unico del lavoro sia tenuto in modo regolare e completo.

Le buste paga devono infatti trovare corrispondenza nel libro unico del lavoro, ma poiché nel caso di specie il datore non ha assolto l'onere di contraddire la validità dei documenti prodotti dalla lavoratrice, dimostrando la loro divergenza rispetto alle scritture a cui è obbligato, il rapporto di lavoro deve considerarsi provato.

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