Integra reato di prescrizione abusiva, somministrare a pazienti obesi una sostanza stupefacente solo per finalità estetiche finalizzate al dimagrimento

di Annamaria Villafrate - La Cassazione con sentenza n. 12198/2020 (sotto allegata) respinge il ricorso di un medico, accusato di prescrizione abusiva di sostanze stupefacenti per finalità non terapeutiche ai propri pazienti obesi. La Corte condivide le conclusioni del giudice dell'impugnazione che ha disposto, dopo una diversa qualificazione dei fatti, il non luogo a procedere per estinzione del reato. Corretto anche l'inquadramento della condotta nell'ipotesi più lieve prevista dall'art. 73, comma 5, per il numero ridotto dei pazienti interessati e per la limitata offensività del comportamento.

Prescrizione abusiva e detenzione illecita di sostanze stupefacenti

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Il Tribunale condanna l'imputato alla pena di tre anni e due mesi di reclusione e a 16.000 euro di multa e la Corte d'Appello riqualifica il reato di cui all'art. 83 (prescrizioni abusive) e 73 comma 5 (che punisce con la pena della reclusione da sei mesi a quattro anni e con la multa da 1032 a 10.329 euro chi produce, traffica, detiene illecitamente sostanze stupefacenti o psicotrope) di cui al d.P.R n. 309/1990 e dispone il non luogo a procedere per intervenuta prescrizione del reato.

L'imputato è stato accusato di aver somministrato sostanze stupefacenti come la fendimetrazina e il clorozepato di potassio a due pazienti per finalità non terapeutiche, ma meramente estetiche, senza interrompere la somministrazione della fendimetrazine dopo tre mesi dall'assunzione iniziale. Assolto invece per insussistenza del fatto e per condotte analoghe, tenute nei confronti di altri due soggetti.

Somministrazione farmaci con finalità terapeutiche

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L'imputato

ricorre in sede di legittimità, contestando il contrasto di giudicato tra la sentenza impugnata e quella di un processo parallelo per fatti analoghi. Il ricorrente fa presente che la somministrazione dei farmaci è stata effettuata per trattare, con finalità terapeutiche, soggetti obesi, mentre per l'accusa si tratterebbe di una prescrizione abusiva a sole tre persone, corrispondente all'1% dei pazienti solo per finalità estetiche.

Dalle dichiarazioni di uno dei pazienti emerge che il medico ha operato sempre nel rispetto della legge, non avendo mai somministrato per più di tre mesi continuativi fendimetrazina, che tra l'altro non avrebbe mai prescritto a un soggetto con un indice di massa corporea inferiore a 30.

Nessuna prova è emersa in ordine alla somministrazione di fendimetrazina a uno dei pazienti indicati nell'accusa. Solo a un paziente, per motivi medici, il trattamento ha avuto una durata superiore a 7 mesi. Si censura infine la mancata valutazione delle opinioni dei consulenti di parte che hanno escluso come la fendimetrazina possa qualificarsi come una sostanza stupefacente, anche se inserita nella Tabella degli stupefacenti. A sostegno della illiceità delle condotte addebitate all'imputato il difensore fa presente che nessuno dei pazienti è tossicodipendente.

Reato estinto, ma inquadrabile come prescrizione abusiva di stupefacenti

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La Cassazione, con la sentenza n. 12198/2020 dichiara il ricorso inammissibile per le ragioni che si vanno a esporre.

Da confermare la decisione di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione, anche se la Corte ci tiene a precisare che, per quanto riguarda le accuse mosse al medico "la somministrazione di preparati medicinali a base di sostanze stupefacenti è consentita, ai sensi dell'art. 72, comma 2 del d.P.R n. 309 del 1990, solo qualora il medico agisca per finalità terapeutiche, praticando un trattamento debitamente prescritto ai sensi dell'art. 43 del testo unico e coerente, secondo le conoscenze scientifiche del momento, con gli obiettivi clinici perseguiti."

La Corte dell'impugnazione nella motivazione ha rispettato il principio suddetto, ha ritenuto la condotta penalmente rilevante ai sensi dell'art. 73, richiamato dal successivo art. 83, che si applica ai medici che prescrivono sostanze stupefacenti al di fuori delle ipotesi terapeutiche, anche se l'ha inquadrata tra le ipotesi lievi contemplate dall'art. 73 comma 5, applicabile per la limitata offensività del comportamento e per il numero limitato dei pazienti interessati, ovvero 3 su 231.

La Corte dalle testimonianze ha desunto che le sostanze prescritte, per la condizione di salute dei pazienti e per la durata del trattamento non potevano avere una finalità terapeutica.

Infondata infine la questione del contrasto di giudicato tra la sentenza impugnata e quella del processo parallelo, considerato che i fatti trattati erano diversi.

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Foto: 123rf.com
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