Per la Cassazione, chi pone in essere il reato di atti osceni non commette anche violenza privata se chi vi assiste non è costretto a farlo

di Annamaria Villafrate - La sentenza n. 49392/2019 della Cassazione (sotto allegata) è interessante per le importanti precisazioni che fornisce relativamente al reato di atti osceni e al suo collegamento con il delitto di violenza privata. Secondo il consolidato orientamento di legittimità infatti chi commette il reato di atti osceni non integra con la sua condotta anche quello di violenza privata se i soggetti che assistono agli stessi non vi sono costretti.

Atti osceni e violenza privata

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Il Giudice dell'udienza preliminare assolve l'imputato dai reati dei capi A) e B), riqualificati ai sensi dell'art. 527 c.p.p, perché il fatto non è previsto dalla legge come reato e lo condanna alla pena di un anno di reclusione e al risarcimento dei danni alla parte civile

. Spese processuali liquidate anche alla parte civile, per i reati di violazione di domicilio (capo C), di corruzione di minorenni e di atti osceni previsti dall'art. 527 c.p., comma 2 (capo E).

L'imputato impugna la sentenza chiedendo l'assoluzione per la violazione di domicilio, la riduzione della pena per i reati dei capi D) ed E), l'applicazione dei benefici di legge. Il PM impugna solo in relazione al reato del capo B). La Corte, in parziale riforma della sentenza del GUP, condanna l'imputato per il reato di violenza privata di cui all'art. 610 c.p., considera la continuazione con gli altri fatti, ritiene più grave l'imputazione per il reato di corruzione di minorenni, ridetermina la pena in anni 1 e mesi 2 di reclusione e lo condanna a pagare le spese in favore della parte civile.

Il ricorso in Cassazione dell'imputato

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L'imputato ricorre in Cassazione presentando anche un motivo di ricorso in relazione al reato di violenza privata.

Il ricorrente lamenta la mancata integrazione del reato di violenza privata perché nel caso di specie aver inseguito la persona offesa minorenne fin dentro il portone di casa senza costringerla a entrare in ascensore per farla assistere all'esibizione dei suoi genitali, non può considerarsi un'azione in grado di coartare la volontà altrui. "Se, di fronte all'atto osceno, la vittima continuava ad avere la libertà di determinarsi ed agire, non era configurabile la violenza, o perché il mezzo non era idoneo, ed in tal caso non poteva configurarsi neppure nella forma tentata, o perché non aveva prodotto l'effetto per cui era preordinata."

Gli atti osceni non comportano anche violenza privata se chi vi assiste non è costretto

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La Corte di Cassazione, con sentenza n. 49392/2019, accoglie il ricorso dell'imputato relativo al capo B) del provvedimento impugnato.

Nel ripercorrere i fatti e la vicenda processuale, ricorda che mentre il giudice di primo grado ha qualificato la condotta dell'imputato come atti osceni in luogo pubblico, perché avvenuti nell'androne del condominio, la corte d'Appello, accogliendo l'impugnazione del PM ha invece modificato l'imputazione in violenza privata. Essa ha tenuto conto, ai fini della modifica, dei seguenti fattori "luogo di commissione del delitto, pubblico, ma al contempo riservato e protetto, l'età infrasedicenne della persona offesa, lo stato di soggezione ingenerato nella ragazzina, la distanza ravvicinata tra l'imputato e la minore durante l'esibizione dei genitali."

La Corte territoriale nel giungere alle conclusioni suddette non ha però rispettato l'indirizzo della giurisprudenza di legittimità, secondo cui "il compimento di atti osceni in luogo pubblico o esposto al pubblico, punibile ai sensi dell'art. 527 c.p., non comporta anche la configurabilità del reato di violenza privata in danno dei soggetti che si trovino ad assistere agli stessi, senza esservi in alcun modo costretti."

Questo perché il delitto di violenza privata ha carattere generico e sussidiario ed è finalizzato a evitare che le violazioni dell'altrui libertà di autodeterminazione non previste da specifiche ipotesi di reato, restino impunite. Da qui l'assorbimento della violenza privata in tutti quei casi in cui la violenza o la minaccia costituiscano elemento costitutivo o circostanza aggravante di un altro reato.

"La violenza consiste nell'uso di qualsiasi energia fisica da cui derivi una coazione personale, indipendentemente dal mezzo usato, anche se diretto verso terzi, purché idoneo a raggiungere lo scopo della costrizione del soggetto passivo" anche dal punto di vista morale, ma anche su soggetti terzi legati alla vittima da rapporti di parentela e solidarietà. Violenza privata che si configura però anche nei casi in cui la vittima viene messa nella condizione di dover subire l'altrui violenza o di sottrarsi alla stessa, mettendo in pericolo la propria integrità.

La minaccia invece, più nello specifico, consiste nella violenza morale esercitata tramite la prospettazione di un male futuro che può avere ad oggetto la vita, l'incolumità della persona o la libertà, l'onore, il pudore e persino i suoi beni patrimoniali.

Passando invece al reato di atti osceni previsto dall'art 527 c.p gli Ermellini precisano che esso "colpisce quelle condotte, che mirano ad offendere il sentimento di moralità sessuale in misura talmente intensa da provocare in chi vi assista repulsione e disgusto, tra le quali principalmente gli atti di esibizionismo dei genitali, come nella specie."

La depenalizzazione realizzatasi con il D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 8, art. 2, comma 1, lett. a) non ha però colpito il comma 2 dell'art. 527 c.p., che fa riferimento a tutte quelle ipotesi in cui il fatto si realizza "all'interno o nelle immediate vicinanze di luoghi abitualmente frequentati da minori e se da ciò deriva il pericolo che essi vi assistano."

Nella specie forse il reato si poteva anche configurare, visto che la persona offesa era una minore e che l'androne condominiale potenzialmente può essere un luogo frequentabile da minori. Il PM però ha contestato la violenza privata, il giudice ha ritenuto l'ipotesi depenalizzata degli atti osceni, mentre la corte ha concluso per la violenza privata, sulla base di una regola con conforme all'orientamento della giurisprudenza di legittimità.

Occorre quindi annullare senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, con eliminazione della pena della reclusione e la trasmissione degli atti al Prefetto per le determinazioni del caso.

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