Con due recenti pareri il giudice contabile torna sul concetto di sentenza favorevole e natura retributiva dei compensi degli avvocati pubblici

Avv. Antonella Trentini - Con due recenti pareri, n. 196 del 14 ottobre scorso, e n. 255 del 15 luglio 2019, che meritano di essere annotati per compiutezza di argomentazioni, la Corte dei Conti della Campania ritorna sul concetto di "sentenza favorevole", locuzione contenuta nel testo dell'art. 9 del D.L. n. 90 del 2014, e si riallinea alla propria giurisprudenza costante, dopo l'intervento a gamba tesa della Corte dei Conti siciliana, intervenuta con una propria solitaria e poco argomentata interpretazione con deliberazione n. 88 del 29 aprile 2019, mentre la Corte dei Conti per la Toscana analizza la competenza della magistratura contabile in materia di erogazione dei compensi professionali ex art. 9, D.L. n. 90 del 2014.

Il parere della Corte dei Conti Campania e il concetto di "sentenza favorevole"

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Con precedente commento (leggi: La Corte dei Conti e la legge Cincia) si era tentato di argomentare l'erroneità degli assunti trinacrini, impegnati a sostenere che l'art. 9 del D.L. n. 90 del 2014, nella parte in cui disciplina la corresponsione dei compensi professionali (che venivano denominati impropriamente "propine"), in favore degli avvocati incardinati nelle strutture pubbliche, "deve essere limitato alle ipotesi in cui gli enti abbiano ottenuto sentenza

favorevole, con recupero delle spese legali o con compensazione integrale e non può essere esteso anche ai diversi casi di 'provvedimenti' decisori pronunciati dagli organi giudiziari", nonché "di estinzione del giudizio per perenzione, rinuncia di controparte o abbandono della controversia o, in generale, per inattività della controparte in qualsiasi fase del giudizio cautelare, di merito o di esecuzione che comporti la completa salvaguardia dei beni e diritti dell'Ente", oltre che di abbandono o rinuncia con onere delle spese, come già previsto dall'art. 9 del Regolamento adottato in materia.

Fermi restando i dubbi sulla competenza delle Corti dei Conti in materia, che essa stessa manifesta (cfr. "Considerato che la disciplina di dettaglio del trattamento economico ai sensi del contratto collettivo

non rientra tra le competenze consultive di questa Magistratura (cfr. Sezione riunite di controllo, deliberazione 56/CONTR/2011"), resta il fatto che se un organo istituzionale di un ente locale, qual è un Sindaco, richiede un parere alla Corte dei Conti, l'ambito delle funzioni attribuite alle Sezioni regionali della Corte dei conti dall'art. 7, commi 7 e 8, della legge 6 giugno 2003, n. 131, fa sì che essa disponga della funzione di verificare il rispetto degli equilibri di bilancio, il perseguimento degli obiettivi posti da leggi statali e regionali di principio e di programma e la sana gestione finanziaria degli enti locali. Ed è indubbio che la materia, ancorché giuslavoristica, si innesti nell'azione amministrativa nella prospettiva del perseguimento del "buon andamento" (art. 97 Cost.), cui si ricollega l'astratta legittimità-regolarità, sotto il profilo della attingibilità alla provvista finanziaria da parte dell'amministrazione. Tuttavia, la Corte campana ha ben chiari i propri confini d'intervento, precisando, correttamente, che tale parere viene reso "come per le 'le altre forme di collaborazione' previste dalla legge" al fine di contribuire "a fornire elementi di cognizione strumentali al miglior esercizio della discrezionalità, operando scelte legittime, e quindi adeguate e ponderate. Pertanto, la funzione consultiva è "collaborativa" solo nel senso di promuovere e perseguire gli obiettivi di legge e quindi il principio di legalità, attraverso la "certezza" del diritto". Non va affatto intesa nel senso "di costituire una forma di co-gestione, estesa all'area di valutazione riservata all'amministrazione, nell'ottica del raggiungimento di risultati più efficienti, efficaci ed economici. Si tratta, infatti, di aspetti relegati al merito dell'azione amministrativa che possono essere valutati dalla Corte solo nei casi espressi di legge (art. 3, comma 4, L. n. 20/1994).".

Tanto premesso, il quesito sottoposto alla Corte dei Conti Sezione regionale di controllo per la Campania, è il medesimo già sottoposto ad altre Corti, fra cui, appunto, la Corte dei Conti Sezione di controllo per la Sicilia:

«Il Sindaco del comune di in epigrafe ha chiesto un parere sul significato della locuzione "sentenza favorevole" nell'art.9 del D.L. n. 90/2014 (conv. L. 114/2014), nella parte in cui disciplina la corresponsione dei compensi professionali (cc.dd. "propine") in favore degli avvocati incardinati nella struttura pubblica. In particolare, chiede se il diritto al compenso accessorio dell'avvocatura dell'ente maturi solo in caso di sentenza favorevole, con recupero delle spese legali o con compensazione integrale, ovvero se possa essere esteso anche ai diversi casi di "provvedimenti decisori pronunciati dagli organi giudiziari", nonché "di estinzione del giudizio per prescrizione, rinuncia di controparte o abbandono della controversia o, in generale, per inattività della controparte in qualsiasi fase del giudizio cautelare, di merito o di esecuzione che comporti la completa salvaguardia dei beni e diritti dell'Ente, oltre che di abbandono o rinuncia con onere delle spese».

La richiesta di parere riguarda, in particolare, l'interpretazione del comma 3.

Il parere della Corte campana prende le mosse dalla sintetica ricostruzione del posizionamento ordinistico degli avvocati dipendenti delle amministrazioni pubbliche: inserirti in un elenco speciale annesso all'albo ai sensi delle norme speciali regolanti la professione forense (artt. 15, comma 1, lett. b) e 23 L. n. 247/2012), essi, sulla base di precise disposizioni contenute nei contratti collettivi nazionali di comparto (art. 27) e d'area (art. 37), percepiscono una retribuzione articolata in due parti, una parte fissa (a remunerazione dello stabile incardinamento nell'ente con funzioni di consulenza generale, difesa in cause prive di esito vittorioso, mediazioni, negoziazioni, ecc.), e una parte egualmente fissa quanto all'an, ma variabile nel quantum (erroneamente definita "accessoria" dalla Corte dei Conti), che è il compenso professionale legato alla loro attività di patrocinio processuale, che distingue il professionista avvocato dal restante personale dell'ente.

Correttamente la Corte campana dà atto che tale compenso retributivo è "impropriamente ma tradizionalmente chiamato 'proprina'". Così come correttamente sottolinea, in un metaforico grassetto, che "la natura retributiva" del trattamento economico dell'avvocato dipendente "è riconosciuta dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr. SRC Piemonte n. 164/2015/PAR e SRC Lombardia n. 267/2018/PAR)", rinviando per la dettagliata ricostruzione giurisprudenziale della struttura normativa del trattamento economico degli avvocati dipendenti di enti pubblici, alla completa e recentissima sentenza del TAR Campania-Salerno, sez. I, n. 332/2019.

Essa, pertanto, circoscrivendo il proprio intervento meramente collaborativo, cerca di vagliare soltanto i limiti legislativi di finanza pubblica e di coordinamento posti dall'art. 9, con riguardo ai compensi professionali dei dipendenti avvocati. E ciò facendo vengono in rilievo i due tetti applicabili agli avvocati dipendenti diversi dagli avvocati dello Stato, che delimitano normativamente la maturazione del diritto al corrispettivo professionale da parte del percettore, contenuti nei commi 1 e 7:

· il comma 1 richiama il c.d. "tetto generale" che, in quanto tale, si applica a tutti i dipendenti pubblici. Esso trova la sua fonte nell'articolo 23 ter del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e successive modificazioni, il quale stabilisce che i "compensi professionali corrisposti dalle amministrazioni pubbliche […] sono computati ai fini del raggiungimento del limite retributivo";

· il comma 7, che, a tale soglia massima individuale e generale, ne aggiunge un'altra, correlata al trattamento del singolo professionista, specificando che il trattamento accessorio non può superare trattamento economico complessivo maturato di anno in anno.

Se sin qui è tutto oggettivo e lineare, nel dare conto del secondo "tetto", la Corte introduce un pensiero tra parentesi errato: essa sostiene infatti che il "trattamento economico complessivo" corrisponda alla sola base contrattuale, in ciò emulando una certa corrente che, senza spingersi ad una analisi profonda, ha liquidato l'argomento immotivatamente.

Sul punto giova quindi una piccola digressione per chiarire bene il concetto, attesa l'assenza di motivazioni specifiche sia nel presente parere, che nel precedente lombardo, che ha trattato la nozione di "trattamento economico complessivo" contenuto nell'art. 9, D.L. 90 del 2014.

Si diceva infra che l'art. 9, comma 7, del d. l. n. 90 del 2014, dispone che i compensi professionali - sia che si tratti di "riscosso" che di "compensato" - "possono essere corrisposti in modo da attribuire a ciascun avvocato una somma non superiore al suo trattamento economico complessivo".

La lettera della norma è, di per sé, chiarissima. Né esperti quali i magistrati contabili possono non accorgersi di tale evidenza.

Con la locuzione "trattamento economico complessivo" il legislatore fa infatti riferimento alla retribuzione percepita dall'avvocato dipendente nella sua interezza, ivi compresi, dunque, i compensi professionali. Non è dato comprendere, infatti, quale altra espressione avrebbe dovuto utilizzare per rendere (ancor più) inequivocabile la sua intenzione.

Preliminarmente va detto che gli avvocati di enti pubblici presentano delle peculiarità non rinvenibili in nessun'altra categoria del pubblico impiego (né di quello c.d. privatizzato né tantomeno di quello trattenuto in regime di diritto pubblico). Essi, infatti, oltre a non essere del tutto sovrapponibili ai normali dipendenti delle Amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del d. lgs. n. 165 del 2001, presentano caratteristiche radicalmente diverse pure dagli Avvocati dello Stato (come la Corte costituzionale ha affermato nella recente sent. n. 236 del 2017), il cui regime di "tetto" è completamente diverso. La disciplina del trattamento giuridico ed economico degli avvocati degli enti pubblici va dunque interpretata e applicata tenendo conto delle indubbie peculiarità della categoria.

Non solo. Come osservato anche dalla Corte campana, bisogna pure considerare che la predetta disciplina deriva dal concorso di fonti diverse - soprattutto contrattazione collettiva e regolamenti interni dei singoli enti provvisti di Avvocatura -, elemento, questo, che certamente condiziona l'esegesi dell'art. 9 del d. l. n. 90 del 2014 per i profili che qui rilevano.

Tutto ciò premesso, e venendo specificamente al trattamento economico dell'avvocato dipendente di ente pubblico - su cui va a incidere l'art. 9 - esso consta, come detto, di una parte (tendenzialmente) fissa e di una parte variabile nel quantum, la cui concreta misura dipende, per ciascun anno, dall'esito dell'attività defensionale svolta dall'avvocato dipendente.

Giova infatti ricordare che, a differenza dell'avvocato del libero foro, che percepisce i compensi professionali indipendentemente dall'esito della controversia patrocinata, l'avvocato dipendente di ente pubblico ha diritto ai compensi professionali soltanto nell'ipotesi di provvedimento favorevole all'Amministrazione. Ciò significa che gli onorari spettano soltanto quando siano rigettate le pretese avanzate dalla controparte o accolte le domande dell'Amministrazione. In tutti gli altri casi agli avvocati degli enti pubblici non spettano compensi.

Non solo. Il diritto alla corresponsione degli onorari sussiste se la sentenza favorevole condanna la controparte soccombente al pagamento delle spese di lite o le compensa integralmente fra le parti.

Ad ogni buon conto, in entrambi i casi la prestazione resa, oltre che vittoriosa, è comunque di livello elevatissimo: basta fare riferimento alla compensazione delle spese di lite prevista dall'art. 92 cod. proc. Civ., che esplicitamente la permette "nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti". Dunque, all'avvocato dipendente si chiede una prestazione di qualità.

Quanto, invece, alla condanna di controparte alle spese di lite sia sufficiente ricordare che in questo caso i compensi spettanti all'avvocato dipendente di ente pubblico non gravano sull'ente ma sulla controparte soccombente, quindi nemmeno possono definirsi "a carico" dell'Amministrazione, al fine di escluderli dal "trattamento economico complessivo".

A ogni buon conto, le somme spettanti a titolo di compensi, unitamente a quelle dovute in ragione dell'inquadramento contrattuale all'interno dell'ente, vanno a formare il trattamento economico complessivamente dovuto all'avvocato dipendente quale sinallagma della prestazione domandata dal datore di lavoro.

Considerato ciò, non v'è dubbio che, in assenza di altra specificazione (e non v'è), la locuzione "trattamento economico" vada intesa come comprensiva di entrambe le componenti di cui s'è detto. Non a caso l'art. 23 della l. n. 247 del 2012 (recante "Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense") utilizza la stessa locuzione quando stabilisce che agli avvocati dipendenti di enti pubblici sia assicurato un "trattamento economico adeguato alla funzione professionale svolta".

Ebbene: è di piena evidenza che la Legge Professionale non si riferisce al solo stipendio tabellare - che varia sulla base dell'inquadramento contrattuale dell'avvocato dipendente, di cui la legge professionale si disinteressa, e non dell'attività professionale effettivamente svolta -, ma anche alla parte variabile della retribuzione, ossia ai compensi spettanti in ragione della "trattazione esclusiva e stabile degli affari legali dell'ente" (di cui discorre sempre il citato art. 23).

Considerato ciò, il fatto che il legislatore, all'art. 9, comma 7, del d. l. n. 90 del 2014 abbia utilizzato proprio la locuzione "trattamento economico", per di più rinforzata dall'aggettivo "complessivo", non lascia davvero spazio ad alcun dubbio sul fatto che in esso vadano ricompresi anche gli onorari, nella specie - come si vedrà - quelli percepiti l'anno precedente a quello di riferimento.

Viceversa, qualora il legislatore avesse inteso far riferimento solo a una porzione del trattamento economico dell'avvocato dipendente avrebbe ben potuto - e anzi dovuto - utilizzare, la locuzione "trattamento economico fondamentale", ovvero far riferimento alle nozioni di "retribuzione ordinaria" o "stipendio tabellare", come parre frettolosamente voler precisare la Corte campana.

In alternativa, avrebbe potuto escludere esplicitamente i compensi professionali dalla nozione di trattamento economico rilevante ai fini della determinazione del tetto, il che, però, non è accaduto.

In applicazione del principio che ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit, non v'è ragione di escludere i compensi professionali dal "trattamento economico complessivo" degli avvocati dipendenti di cui discorre l'art. 9, comma 7, del d. l. n. 90 del 2014.

La lettera della norma, dunque, non sorregge e anzi smentisce apertamente l'interpretazione restrittiva fatta propria dalla Corte dei Conti della Campania, che solo sul punto è contestabile.

Tornando al tema oggetto d'indagine, ovvero l'inquadramento di "sentenza favorevole", la Corte dei Conti, con il parere n. 196 del 14 ottobre 2019, perviene alla individuazione della nozione attraverso, qui sì, un argomentato iter esplicativo, che si dipana dall'esame della perimetrazione voluta dal legislatore dell'art. 9 della facoltà di spesa dell'ente pubblico-datore di lavoro, mediante l'introduzione del suddetto sistema di limiti di spesa, a ragione dei quali "la concretezza dei casi e delle modalità di erogazione di tale peculiare trattamento accessorio, è affidato a "fonti" secondarie, la fonte "primaria", ossia la legge si limita ad individuare, indica la fattispecie generale". Per la Corte campana la fattispecie generale individuata dalla legge indica "i criteri di massima che vanno declinati nella casistica delle fonti secondarie e nella prassi", sulla base di "concetti indeterminati del diritto processuale", ravvisati in "fattispecie elastiche rispetto alle quali le applicazioni "secondarie" devono risultare congrue, alla stregua del principio di ragionevolezza (cfr. TAR Puglia-Lecce, n. 2543/2014 e TAR Campania-Napoli, n. 5025/2015).".

La fattispecie generale fissata direttamente dal legislatore, ovvero l'an, si realizza con il ricorrere di alcuni presupposti: (i) che vi sia l'emissione da parte del giudice di una "sentenza favorevole"; (ii) che sia disposta la compensazione o la condanna alle spese della parte soccombente, e, in tale ultimo caso, (iii) che le somme siano state effettivamente "recuperate" (cioè effettivamente incassate).

La prima delle tre condizioni è quella che, complice la deliberazione n. 88/2019 della Corte dei Conti siciliana, rischia di determinare molteplici contenziosi a carico degli enti che decidano di aderire a tale (errata) impostazione, ben potendo l'avvocato inciso da una restrittiva nozione di "sentenza favorevole", adire il Giudice del lavoro per vedersi riconosciuta la retribuzione oggettivamente connessa allo svolgimento vittorioso di una attività professionale svolta nell'interesse dell'ente sulla base del contratto individuale di lavoro.

Ed è su tale punto che la Corte campana riporta la materia sui giusti binari: sul significato da attribuire a "sentenza favorevole" di cui al comma 3, essa ritiene "valga l'assunto giurisprudenziale trasversalmente riconosciuto nell'ambito delle varie giurisdizioni, tanto amministrativa che ordinaria che contabile, circa la prevalenza della sostanza decisoria sulla forma (cfr. ex plurimis, Cassazione, Sezioni unite, sentenza n. 3816/2005 e di recente Sez. II, sentenza n. 27127/2014)",.

Nel dare atto dell'esistenza di un solo "un precedente in senso difforme emesso da SRC Sicilia n. 88/2019/PAR (che ritiene non solo necessario il carattere "favorevole", ma altresì la forma "sentenza")", la Corte dei Conti per la Campania ribadisce il consolidato orientamento giurisprudenziale espresso dalla magistratura contabile, assai copiosa sul punto: appare di tutta evidenza che il Legislatore, quando fissa il criterio generale dell'"esito favorevole" nel testo dell'art. 9, non può far riferimento solo alla formalità esteriore di uno fra i tanti provvedimenti consacranti la vittoria dell'ente, ovvero la "sentenza" (cfr. TAR Puglia, n. 2543/2014 e TAR Campania, n. 5025/2015), bensì contempla un criterio finalistico operando "una valutazione sostanziale sulla rispondenza tra l'utilità corrisposta con il provvedimento processuale emesso dal giudice e le prospettazioni di parte, nella specie, la parte "pubblica amministrazione", rappresentata da avvocature interne".

Né potrebbe essere diversamente, come già la scrivente ha avuto modo di osservare (cfr. La Corte dei Conti e la legge Cincia), per due essenziali ragioni: (i) la prima, le sentenze sono solo una delle varie forme tipiche di decisione che un giudice può adottare per definire un contenzioso; (ii) la seconda ragione risiede, poi, nel fatto che l'esito favorevole che il legislatore vuole per originare il credito retributivo professionale deve essere valutato "in relazione al tipo di processo e all'utilità raggiunta col provvedimento, in rapporto ai "petita" dell'amministrazione difesa".

Il parere della Corte dei Conti per la Toscana e la natura retributiva dei compensi

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Il secondo interessante parere della magistratura contabile affronta il tema della natura retributiva dei compensi professionali dovuti all'avvocato dipendente, nel contesto dei requisiti di ammissibilità del parere richiesto, sotto il profilo soggettivo e oggettivo, con riguardo all'art. 9, D.L. n. 90 del 2014, ed in specie all'applicazione dei commi 3 e 6.

Il quesito sottoposto dal Sindaco di un Comune toscano alla locale Corte dei Conti riguardava i seguenti profili:

(i) se, nel caso di compensi professionali di cui ai commi 3 e 6 del D.L. 90/2014 eccedenti in una determinata annualità il trattamento economico complessivo, fosse possibile erogare l'eccedenza nelle annualità successive ove non venisse raggiunto il detto limite;

(ii) se, in caso negativo, tali eccedenze possano diventare definitive disponibilità di bilancio.

Sul punto era già intervenuto il 27 settembre 2017 un argomentato parere dell'ANCI, a cui aveva fatto seguito una scarna rettifica l'11 dicembre 2017.

Sull'erogazione delle somme eccedenti il "tetto" individuale di cui all'art. 9 del D.L. n. 90/14, convertito, con modificazioni, nella legge n. 114/14, valga quanto segue.

La norma, oggetto di diverse revisioni durante il procedimento di conversione, nel suo testo finale prevede per quanto qui d'interesse:

"Art. 9. - (Riforma degli onorari dell'Avvocatura generale dello Stato e delle avvocature degli enti pubblici). - (omissis) 3. Nelle ipotesi di sentenza favorevole con recupero delle spese legali a carico delle controparti, le somme recuperate sono ripartite tra gli avvocati dipendenti delle amministrazioni di cui al comma 1, esclusi gli avvocati e i procuratori dello Stato, nella misura e con le modalità stabilite dai rispettivi regolamenti e dalla contrattazione collettiva ai sensi del comma 5 e comunque nel rispetto dei limiti di cui al comma 7. La parte rimanente delle suddette somme è riversata nel bilancio dell'amministrazione. (omissis) 7. I compensi professionali di cui al comma 3 e al primo periodo del comma 6 possono essere corrisposti in modo da attribuire a ciascun avvocato una somma non superiore al suo trattamento economico complessivo. 8. (omissis)".

La disciplina attualmente vigente per le avvocature degli enti risulta soggetta alla combinazione del doppio tetto retributivo (generale e particolare), e assegna il regime di riparto dei compensi (non la debenza o meno), secondo le norme regolamentari e della contrattazione collettiva basate su criteri meritocratici, con un tetto di spesa (bilancio 2013), ove l'onere sia posto a carico dell'ente (ovverosia in caso di provvedimento favorevole con compensazione di spese o a seguito di transazione su sentenza favorevole).

Nel dettaglio le regole ora in vigore sono le seguenti:

a) computabilità dei compensi professionali agli avvocati dei dipendenti pubblici nel limite retributivo ex art. 23-ter del DL 6 dicembre 2011, n. 201, convertito in legge 22 dicembre 2011, n. 214 (comma 1);

b) in caso di provvedimento favorevole con vittoria, totale o parziale, di spese, le somme recuperate dalla controparte sono ripartite tra gli avvocati dipendenti dell'ente nella misura e con le modalità stabilite dai rispettivi regolamenti e dalla contrattazione collettiva (comma 3, primo periodo), cioè con criteri oggettivamente misurabili basati sul rendimento individuale e sulla puntualità negli adempimenti processuali (comma 5), "in modo da attribuire a ciascun avvocato una somma non superiore al suo trattamento economico complessivo" (comma 7). La parte rimanente delle suddette somme è riversata nel bilancio dell'amministrazione (comma 3, secondo periodo). In assenza dell'adeguamento di regolamenti e contratti collettivi, a decorrere dal 1° gennaio 2015, i compensi non possono essere corrisposti;

c) in caso di esito favorevole con compensazione integrale di spese (compresi i casi di transazione dopo sentenza favorevole), i compensi professionali sono corrisposti in base alle norme regolamentari o contrattuali vigenti e nei limiti dello stanziamento previsto, che non può superare il corrispondente stanziamento relativo all'anno 2013 (comma 6) ed "in modo da attribuire a ciascun avvocato una somma non superiore al suo trattamento economico complessivo" (comma 7).

Dato il seguente quadro normativo, occorre dunque effettuare alcune considerazioni, mutuando le argomentazioni dagli orientamenti consolidati delle Corti dei Conti sin qui emanate in ambito nazionale, dalla Corte Costituzionale, di Cassazione e dagli organi della Giustizia amministrativa di primo e secondo grado.

La norma invita gli enti a determinare con regolamenti le ipotesi e modalità di corresponsione della retribuzione per compenso professionale da causa vinta, mentre lascia alla contrattazione integrativa la competenza per i soli criteri di riparto dei compensi (atteso che non si tratta di trattamento accessorio, ma retributivo), fermi restando tre tetti:

- il primo è quello retributivo individuale generale, per cui ai sensi dell'art. 23-ter del DL 6 dicembre 2011, n. 201, convertito in legge 22 dicembre 2011, n. 214, in base alla norma estensiva dell'art. 1, commi 471 ss, della legge 147/2013, anche gli enti locali dovranno dare applicazione al DPCM 23 marzo 2012 (secondo le circolari esplicative 8/2012 e 3/2014 del Dipartimento della funzione pubblica) che ha definito il livello remunerativo massimo onnicomprensivo annuo di "chiunque riceva a carico delle finanze pubbliche retribuzioni o emolumenti comunque denominati in ragione di rapporti di lavoro subordinato o autonomo intercorrenti con (…) le pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni (…)" (art. 1, comma 471, l. 147/2013), in quello del primo presidente della Corte di cassazione, che, ai sensi dell'art. 13, comma 1, del DL 24 aprile 2014, n. 66 convertito in legge 23 giugno 2014, n. 89, è stato fissato in € 240.000,00 a decorrere dal 1° maggio 2014. Negli emolumenti percepiti vanno calcolati tutti i compensi professionali percepiti in funzione delle sentenze favorevoli, senza distinzione tra sentenze con vittoria o compensazione di spese;

- il secondo è quello retributivo individuale specifico, per cui i compensi professionali percepiti dall'avvocato interno nell'anno non possono eccedere il suo trattamento economico complessivo, da percepirsi nello stesso anno (per il calcolo del quale è possibile fare riferimento per analogia alla norma dell'art. 9, comma 1, del DL 31 maggio 2010, n. 78, che comprende anche il trattamento accessorio);

- il terzo è quello finanziario collettivo (assente nelle sentenze favorevoli con vittoria di spese, Corte dei Conti Puglia n. 49 del 22/1/2015), previsto in caso di sentenza favorevole con compensazione delle spese o con transazione, in quanto l'ente non può erogare somme superiori allo stanziamento corrispondente previsto nell'anno 2013. In tal caso i criteri di assegnazione del compenso seguono le norme regolamentari o contrattuali vigenti.

La deliberazione della Corte dei Conti Puglia, richiamata anche da Corte dei Conti Piemonte (parere n. 164/2015/SRCPIE/PAR del 20/11/2015), ha precisato che la normativa de qua ha posto riferimento allo stanziamento e non all'impegno, in conformità alle disposizioni di cui all'allegato n. 4/2 al D.Lgs. 23 giugno 2011, n. 118, recante il "Principio contabile applicato concernente la contabilità finanziaria", paragrafo 5.2, lettera a) (spese di personale), ultimo alinea. Nel principio contabile si evidenzia che quella verso gli avvocati dipendenti è "un'obbligazione passiva condizionata al verificarsi di un evento, con riferimento al quale non è possibile impegnare alcuna spesa", per cui "l'ente deve limitarsi ad accantonare le risorse necessarie per il pagamento degli incentivi, stanziando nell'esercizio le relative spese che, in assenza di impegno, incrementano il risultato di amministrazione, che dovrà essere vincolato alla copertura delle eventuali spese legali ".

Pertanto, lo stanziamento con finalità di accantonamento deve corrispondere effettivamente ai giudizi in corso e al grado di probabilità dell'esito della vertenza. Analogo accantonamento l'ente dovrebbe effettuare in caso di probabilità di soccombenza (allegato n. 4.2 par. 5.2 lett h) (Corte Conti Umbria, n. 102 del 13/5/2015; Corte Conti Puglia, n. 52 del 4/4/2017).

Detti princìpi, dettagliati nella vigenza del bilancio armonizzato, erano già presenti tra i princìpi contabili approvati il 12/3/2008 dall'Osservatorio per la finanza e la contabilità degli enti locali e condensati nel P.C. 3 par. 65, secondo il quale "l'ente identifica e valuta eventuali passività potenziali al fine di predisporre adeguati accantonamenti che permettano la copertura dei futuri debiti o di dare adeguata informazione".

Posto quanto sopra, un Comune che evidenzi di aver stanziato negli esercizi trascorsi un capitolo di spesa, dalla mera capienza figurativa o addirittura incapiente, alimentato, tuttavia, dalle sole somme in entrata recuperate in danno delle controparti soccombenti, dovrà rettificare a regime l'assegnazione di fondi al capitolo, dato che sino all'agosto 2014 non era nota la disposizione che cristallizzava al 2013 gli stanziamenti. Nei fatti, se nel 2013 non era stato posto in essere alcun accantonamento di spesa con una specifica destinazione ai compensi dell'avvocatura interna con oneri a carico dell'ente, sarebbe violativo del sinallagma contrattuale una interpretazione letterale della norma, che disponesse che l'avvocatura interna non avrebbe diritto ad alcun compenso professionale per le sentenze favorevoli con oneri per spese legali a carico dell'ente.

La compensazione delle spese legali in caso di sentenza favorevole, per inciso, con l'art. 13, comma 2, del DL 12 settembre 2014 n. 132 convertito in legge 10 novembre 2014, n. 162 che ha modificato l'art. 92 c.p.c., è legata ad un presupposto non più indeterminato ("gravi eccezionali ragioni" nella previgente disciplina), ma specifico, ed, in particolare a due fattispecie: "assoluta novità della questione trattata" e "mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti". Come si è detto, in tali casi, le esigenze di motivare con retribuzione gli avvocati sono maggiori, in quanto obiettivamente è richiesta una qualità della prestazione professionale più elevata, perché le vertenze attengono a questioni di alta complessità.

Stante quanto sopra, occorre, perciò, fornire un'interpretazione della norma ossequiosa dei principi costituzionali di ragionevolezza ed uguaglianza, nonché di tutela dell'autonomia degli enti locali nella gestione del proprio bilancio.

Ulteriore elemento che corrobora la necessità di una lettura costituzionalmente orientata è l'estrema discrezionalità che diversamente avrebbero gli enti locali nello stabilire l'oggetto dei capitoli di bilancio, per cui, a parere della Corte dei Conti (deliberaz. cit.) "... occorre privilegiare un approccio ermeneutico rispettoso della volontà di non conculcare completamente il diritto all'incentivo e, di conseguenza, di evitare il più possibile il ricorso a professionisti esterni.". "Si tratterebbe" concludono i Giudici contabili, "non di incentivi costituenti una voce del trattamento accessorio ma di compensi finalizzati a remunerare l'attività professionale specifica dell'avvocato e, quindi, non ripartibili in sede di contrattazione decentrata a favore della generalità dei dipendenti" (Sezione regionale di controllo per la Puglia, deliberazione n.m 52/2017, Sezione regionale di controllo per la Liguria, deliberazione n. 52/2016, Sezione regionale di controllo per la Toscana, deliberazione n. 259/2014/PAR, Sezione regionale di controllo per la Puglia, deliberazioni n. 200/PAR/2016, n. 127/PAR/2014, Sezione controllo Friuli Venezia Giulia, deliberazione n. 12/2015/PAR).

Infine, in mancanza di un riferimento normativo più puntuale, trattandosi di un limite annuale quello previsto dall'art. 9, L. 114/14, che in ogni caso non può superare quanto previsto nel 2013, lo stanziamento deve essere individuato nelle previsioni assestate in quanto esse danno esatta contezza delle dimensioni della spesa "sostenuta" dall'amministrazione nell'anno 2013. In altri casi, infatti, il legislatore ha esplicitamente richiamato la spesa "sostenuta" (v., con riguardo alle spese finalizzate all'acquisto di arredi scolastici, l'art. 18, comma 8-septies, della legge 9 agosto 2013, n. 98, di conversione del d.l. 21 giugno 2013, n. 69 "Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia" (cd. "Decreto del fare"), recita: "All'articolo 1, comma 141, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dopo le parole "non possono effettuare spese di ammontare superiore al 20% della spesa sostenuta in media negli anni 2010 e 2011 per l'acquisto di mobili e arredi,").

Nel sistema dei bilanci pubblici, infatti, le previsioni iniziali indicano una valutazione preliminare, una stima delle esigenze finanziarie correlate a bisogni futuri noti ma il più delle volte non esattamente quantificabili in via preventiva, che richiedono, pressoché nella generalità dei casi, l'aggiornamento successivo per adeguarle alla nuova realtà verificabile o prospettabile ad esercizio avviato. A queste esigenze rispondono le integrazioni degli stanziamenti in corso di esercizio con l'adozione di prelevamenti dal fondo di riserva di cui all'art. 166 del T.U. delle leggi sull'ordinamento degli enti locali e il bilancio di assestamento che indica, pertanto, le previsioni denominate "definitive" consegnate nel rendiconto generale dell'esercizio finanziario quale indicazione delle esigenze effettive cui l'ente ha fatto fronte in quell'esercizio.

In questo senso la indicazione del legislatore, che, ai fini del contenimento della spesa, stabilisce un tetto massimo agli stanziamenti annuali di bilancio che non può superare l'ammontare di quello relativo all'anno 2013, spesa effettivamente sostenuta in quell'anno, va intesa come riferita alle previsioni definitive o, come si dice, assestate.

Quindi, relativamente alla possibilità di liquidare negli anni successivi gli importi non erogati per effetto della applicazione dei due limiti previste dal legislatore (quello del trattamento economico individuale dell'avvocato destinatario del compenso, e quello riferito all'ammontare dello stanziamento dell'anno 2013), l'avviso della Sezione di Controllo della Corte dei Conti Umbria n. 102 del 13/5/2015, è nel senso che la materia non rientri fra quelle di contabilità pubblica; le somme di cui trattasi, infatti, le quali concernono la parte di retribuzione da compensi professionali da ripartire fra gli avvocati dipendenti con criteri predeterminati, non individuano la corresponsione di un incentivo, costituente una voce del trattamento accessorio, ma retribuzione conseguita in funzione dell'attività professionale svolta dall'avvocato all'interno e nell'interesse dell'Ente. Sicché tali compensi vanno a retribuire un'attività professionale come tale rientrante nella disciplina propria giuslavoristica (in proposito v. Sezione regionale di controllo della Toscana, n. 259/2014).

Pertanto, se la prestazione lavorativo-professionale c'è stata, ed è stata vittoriosa così da dare diritto alla retribuzione professionale, il diritto ad essere retribuito per il professionista dipendente maturerà, indipendentemente dai "limiti" dovuti ad esigenze di certezza annuale di spesa per cui il sinallagma del datore di lavoro è precluso dal raggiungimento di uno dei "limiti" indicati; rimarrà pertanto in vita il credito maturato dal lavoratore-professionista che, resa la prestazione, attenderà la retribuzione in una annualità diversa nei limiti prescrizionali.

La Corte dei Conti per la Toscana, investita di tale delicata problematica, ha rilevato l'inammissibilità dei profili sottoposti al suo vaglio, come da giurisprudenza costante della stessa Corte, nonché come rilevato dalla Sezione Umbria.

Il caso di specie, ha ritenuto la Corte toscana, "non può venir ricondotto alla materia di contabilità pubblica, investendo piuttosto questioni inerenti al rapporto di lavoro ed al momento retributivo in particolare", in quanto tali sottratte al sindacato della Corte dei Conti, confermando la natura retributiva dell'emolumento di cui si discute, "in quanto oggettivamente connesso allo svolgimento di un'attività professionale svolta nell'interesse dell'ente sulla base del contratto di lavoro, costituendo un compenso professionale integrante la retribuzione ordinariamente spettante al legale interno, conseguita in funzione dell'attività professionale svolta e del doppio status rivestito dagli avvocati dipendenti".

Ricorda, poi, la Corte, che il proprio intervento sarebbe oltremodo inutiliter dato, da qui l'altro profilo di inammissibilità, "ben potendo l'avvocato civico (rectius: dipendente in genere) decidere di adire il Giudice del lavoro per vedersi riconosciuto l'emolumento di cui si tratta (i.e. il pagamento nelle annualità successive), con conseguente inammissibile interferenza della decisione (ndr. della Corte dei Conti) con altri plessi giurisdizionali".

Conclusioni

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Con questi ultimi interventi del giudice contabile si auspica che alcune questioni inizino a trovare pace: sia la questione sul significato da attribuire a "sentenza favorevole", quanto la corresponsione di retribuzione guadagnata, e dunque spettante di diritto per un sinallagma effettivamente reso, in annualità diverse entro i limiti prescrizionali.

In altri termini, la soluzione interpretativa accolta nel parere del giudice partenopeo sulla nozione di "sentenza favorevole", seppur lievemente "macchiato" dall'erronea valutazione assegnata alla nozione di trattamento economico complessivo, peraltro immotivata, muove dall'apprezzabile tentativo di emendare, con un lucidissimo ragionamento, il precedente siciliano, all'evidenza incompatibile tecnicamente e giuridicamente con i canoni ermeneutici generali d'interpretazione del diritto, oltre che con i precedenti giurisprudenziali contabili, amministrativi e giuslavoristici.

Mentre le argomentazioni del giudice toscano in tema di "diritto" a percepire la retribuzione professionale, e non mera aspettativa, apporta chiarezza a questioni sostanziali della sfera umana, quali il diritto alla retribuzione, non a caso tutelate dalle norme CEDU.

Scarica pdf Corte Conti Campania parere n. 196/2019
Scarica pdf Corte Conti Toscana parere n. 255/2019

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