Il CNF commina all'avvocato che omette di versare il mantenimento ai figli la sanzione disciplinare della sospensione. Trattasi di condotte che comportano discredito anche sulla classe professionale

di Lucia Izzo - Scatta la sanzione disciplinare nei confronti dell'avvocato che omette di versare il mantenimento dovuto ai figli minori giungendo addirittura a subire un'esecuzione forzata. Si tratta di comportamenti che provocano discredito alla classe forense e, peraltro, sanzionati anche dal codice penale. A nulla serve giustificarsi paventando difficoltà economiche ed esborsi correlati alla nuova famiglia.


Il Consiglio Nazionale Forense, nella sentenza n. 177/2018 (qui sotto allegata), ha confermato la condanna nei confronti dell'avvocato non aveva più contribuiti al mantenimento dei figli avuti dalla ex compagna, anch'essa avvocato.


Il caso

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Ed è proprio la professionista e madre dei minori che presenta un esposto al COA sottolineando gli inadempimenti dell'ex che, tra l'altro, era anche del tutto scomparso dalla vita dei figli lasciando a lei ogni onere.


L'avvocato non aveva versato gli importi dovuti nemmeno dopo la notifica di ben tre atti di precetto, anzi aveva subito, senza adempiere spontaneamente, pignoramento immobiliare e un pignoramento mobiliare per il quale si era resa necessaria la presenza dell'Autorità di PS e del fabbro per accedere all'abitazione di residenza del professionista.


All'esito del procedimento, il Consiglio dell'Ordine giudicava il professionista colpevole per la mancata corresponsione degli alimenti ai figli, configurante altresì il reato di cui all'art. 570 c.p., e infliggeva la sanzione della sospensione dall'esercizio della professione per mesi sei. Le sue condotte venivano giudicare come idonee "…a produrre riflessi sulla reputazione professionale dell'avvocato o a compromettere l'immagine della classe forense".

Avvocati: rilevanti i comportamenti tenuti nel privato

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Innanzi al CNF l'incolpato si giustifica sostenendo di essersi trovato nell'impossibilità materiale di adempiere alle obbligazioni economiche assunte nei confronti della ex convivente e dei tre figli, in particolare a causa della nuova famiglia che si era creato dopo la fine della convivenza e del figlio che aveva avuto dalla moglie, affetto da patologie che richiedevano cure costose.


Ancora, il professionista rappresenta una forte contrazione del proprio reddito provocata dalla crisi economica. Tutte situazioni che avrebbero reso incolpevoli le sue condotte e dunque, in quanto commesse senza volontarietà e dolo, inidonee a incidere negativamente sulla sua reputazione personale e professionale, né tali da ledere l'immagine della classe forense.


Ciononostante, il Consiglio Nazionale Forense respinge le sue doglianze e conferma la sanzione inflitta, ritenendo le condotte, di fatto ammesse dallo stesso avvocato, rilevanti dal punto di vista disciplinare, se pure non attinenti allo svolgimento della professione forense.


La consolidata giurisprudenza del CNF, infatti, è da sempre ferma nel riconoscere disvalore deontologico nei comportamenti tenuti dagli avvocati nella loro vita privata che, venendo meno la dignità, la probità e il decoro, si riflettano sfavorevolmente sulla loro reputazione e di conseguenza sulla considerazione di cui la classe forense dovrebbe godere.

Getta discredito sull'intera classe professionale l'avvocato che non mantiene i figli

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Il ricorrente, sottolineano i giudici, ha interrotto la corresponsione degli assegni alimentari ai tre figli, senza dare giustificazioni alla famiglia, né agendo per ottenere una riduzione degli stessi, ma accumulando un ingente debito e arrivando al punto di subire un'esecuzione forzata su beni mobili con l'intervento della forza pubblica e del fabbro.


Tali comportamenti "di certo comportano discredito personale e, di riflesso, per la classe professionale cui l'avvocato appartiene". Inoltre, la scomparsa dalla vita dei figli, cui non si è prestato soccorso economico, viene valutata quale elemento esteriore del venir meno di un genitore agli obblighi nei confronti della prole (peraltro sanzionato dal codice penale all'art. 570) con il conseguente discredito che ne deriva.


Le asserite difficoltà economiche e la malattia del figlio più piccolo nato dalla nuova relazione, secondo i magistrati, non possono valere a giustificare le condotte sopra descritte.

Scarica pdf CNF, sent. n. 177/2018

Foto: 123rf.com
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