Prescrizione dei crediti di lavoro, decorrenza della prescrizione ex art. 2948 c.c. dalla data di sottoscrizione e presentazione della dichiarazione di dimissioni. L'interessante sentenza del Tribunale di Velletri

Avv. Francesco Corsi - Una recentissima sentenza del tribunale di Velletri sezione lavoro (sotto allegata) suggerisce una serie di riflessioni sul tema del recesso del contraente debole, sulla sua reale natura e sulle sue più autentiche finalità e, infine, più in generale, sul tema del preavviso.

La vicenda

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La comunicazione delle dimissioni, con preavviso di decorrenza al 14 giugno 2012, sottoscritta dalla ricorrente, presenta la data certa del 25 maggio 2012, mentre il ricorso introduttivo del giudizio è stato depositato in data 29 maggio 2017 e notificato successivamente.

Ora, la ricorrente dopo ben cinque anni ha agito per il recupero di crediti da lavoro asseritamente vantati.

Tuttavia, al riguardo è necessario svolgere alcune riflessioni dirimenti.

La prescrizione dei crediti di lavoro

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Come noto, in base all'art. 2948 c.c., il termine di prescrizione per i crediti di lavoro di tal genere è quinquennale.

Come è altrettanto noto, i termini di prescrizione per far valere il diritto alla retribuzione non possono farsi decorrere durante il rapporto di lavoro, ma solo a seguito di cessazione dello stesso. Questa interpretazione è comunemente collegata alla declaratoria di illegittimità costituzionale degli artt. 2948, n. 4, 2955, n. 2 e 2956, n. 1 nella parte in cui tali disposizioni normative non facevano decorrere il termine di prescrizione dalla data di cessazione del rapporto, perché solo dopo cessato il rapporto viene meno il metus del lavoratore di fronte alla comminatoria di un licenziamento (Corte Cost. n. 63/1966).

Il Giudice delle Leggi, infatti, ha ritenuto che il lavoratore, per paura di essere licenziato, potrebbe essere indotto a non esercitare il proprio diritto, così che qualora la prescrizione si facesse decorrere durante il periodo di lavoro, produrrebbe l'effetto che l'art. 36 ha inteso precludere evitando per l'appunto qualsiasi tipo di rinuncia da parte del lavoratore.

Su tali, essenziali, premesse la Corte Costituzionale ha, dunque, differito al momento della cessazione del rapporto sia la prescrizione estintiva sia quella presuntiva.

Da quanto precede, pertanto, si ricava una considerazione fondamentale: il metus, ossia quella particolare condizione di sudditanza psicologica riconosciuta al lavoratore in pendenza di rapporto, viene meno nel momento in cui il rapporto di lavoro è cessato, o comunque, da quando viene manifestata formalmente la volontà di recedere dal rapporto.

Ebbene, calando ora tali considerazioni nella fattispecie concreta una cosa è chiara; il metus in capo alla ricorrente è cessato nel preciso istante in cui la stessa ha manifestato la volontà di recedere dal rapporto di lavoro intercorrente con la ditta resistente. Infatti, da tale momento in poi, pur avendo la ricorrente presentato una dichiarazione di dimissioni con preavviso di decorrenza ovviamente differita, la volontà della stessa di risolvere il rapporto di lavoro si è inevitabilmente cristallizzata, con conseguente venir meno dell'eventuale timore di far valere un proprio diritto a fronte di una comminatoria di licenziamento non avrebbe più alcuna ragion d'essere.

D'altra parte, la denuncia INPS, risulta poi assolutamente inutile a tal fine, in quanto una atto di messa in mora, per produrre gli effetti interruttivi della prescrizione, deve esplicare la sua efficacia recettizia nei confronti del creditore/datore di lavoro verso il quale i propri asseriti crediti si intendono far valere.

Si comprende, pertanto, come una semplice denuncia a fini contributivi recapitata esclusivamente all'ente previdenziale competente, non possa essere considerata valida ai fini interruttivi del termine prescrizionale.

Fermo quanto precede ed alla luce di quanto sopra esposto e, soprattutto alla luce della data di deposito del ricorso ex art. 414 c.p.c. per cui è causa, relativamente all'azione intrapresa dalla ricorrente deve considerarsi intervenuto il decorso del termine prescrizionale ex art. 2948 c.c., con la conseguenza che il Giudice dovrà pronunciare sentenza di integrale rigetto di tutte le avverse pretese.

Decorrenza prescrizione in assenza di metus

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E ancora. Sulla decorrenza della prescrizione in pendenza di rapporto di lavoro vista l'assenza della situazione psicologica di metus in capo alla ricorrente.

Va sottolineato come la Giurisprudenza di merito ha sempre voluto fornire delle precisazioni in merito alle applicazioni di quanto indicato dalla Suprema Corte, nei limiti e secondo le linee direttive di un giudizio "personalizzato" indicato dalla stessa Magistratura di Legittimità.

Invero, secondo gli Ermellini, "la decorrenza o meno della prescrizione in corso di rapporto va verificata con riguardo al concreto atteggiarsi del medesimo in relazione alla effettiva esistenza di una situazione psicologica di "metus" del lavoratore e non già alla diversa normativa garantistica che avrebbe dovuto astrattamente regolare il rapporto, ove questo fosse pacificamente riconosciuto dalle parti sin dall'inizio come avente le modalità che il giudice, con un giudizio necessariamente ex post, riconosce applicando, quindi la relativa disciplina legale" (Cass. Lav. n. 2322/2004, 20987/2004, 11793/2002).

La Corte d'Appello di Firenze, sempre sul punto, ed a mero titolo esemplificativo, nella sentenza n. 146/2016, facendo propria la necessità del giudizio specifico del metus in concreto determinatosi, accerta che i crediti di natura retributiva scaturenti dall'intermediazione illecita di manodopera nell'ambito degli appalti ferroviari, non sono soggetti alla prescrizione quinquennale nonostante l'elemento dimensionale del soggetto appaltante RFI. Ciò perché "Il requisito della stabilità reale, che consente il decorso della prescrizione quinquennale dei diritti del lavoratore in costanza di rapporto di lavoro, va verificato alla stregua del concreto atteggiarsi del rapporto stesso. Ne consegue che, con riferimento a rapporti di lavoro costituiti in violazione del divieto di intermediazione ed interposizione di cui all'art. 1 della legge 23 ottobre 1960, n. 1369 (applicabile "ratione temporis"), la suddetta verifica deve essere effettuata sulla base delle concrete modalità anche soggettive, di svolgimento del rapporto, senza che assumano rilievo la disciplina che l'avrebbe regolato ove fosse sorto "ab initio" con il datore di lavoro effettivo ovvero la quantificazione attribuita in sede giudiziale" (v. Cass. 4/6/2014, n. 12553).

La chiave di volta è da individuare sempre nel giudizio personalizzato sul metus del lavoratore. Questo determina oggettivamente una diminuzione di tutela in capo al lavoratore che, in questo caso, non potrà beneficiare di un procedimento che programmaticamente perviene a decisione in prima fase in tempi più celeri rispetto all'ordinario processo del lavoro introdotto dal ricorso ex art. 414 c.p.c. Ciò, a meno che non ricorrano gli stringenti criteri per l'azione cautelare atipica ex art. 700 c.p.c.

La decisione

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Ebbene, nel caso di specie, alcun metus poteva ravvisarsi in capo alla ricorrente pendente il rapporto di lavoro. Invero sia il legame affettivo e familiare che legava la stessa ad alcuni soggetti lavoratori della ditta odierna convenuta, sia il fatto che la stessa ricorrente ha comunicato unilateralmente la volontà di recedere dal rapporto di lavoro, sono elementi atti a giustificare come in relazione ai fatti di causa, debba ritenersi operante il regime di prescrizione decorrente non già dalla cessazione del rapporto di lavoro, bensì, dalla pendenza dello stesso.

Invero, l'assenza di metus ci porta a considerare come "giorno in cui può essere fatto valere" (art. 2935 c.c.) il diritto azionato con il presente giudizio, qualsiasi giorno a partire dalla costanza del rapporto di lavoro intercorrente tra odierna ricorrente e odierna resistente.

Seguendo, quindi, tali indicazioni, l'azione per il recupero dei crediti derivanti dal rapporto di lavoro de quo spiegata ex adverso non poteva non considerarsi vulnerata dall'intervenuta prescrizione ex art. 2948 c.c.

Qual è il dies a quo del termine prescrizionale?

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Ricapitolando, e concludendo, si impongono una serie di riflessioni sul tema del recesso del contraente debole, sulla sua reale natura e sulle sue più autentiche finalità e, infine, più in generale, sul tema del preavviso.

La data in cui furono rassegnate le dimissioni dalla lavoratrice ovvero quella, successiva, della scadenza del preavviso? Quest'ultima, sembrerebbe, a ben vedere, se si considera il preavviso come uno strumento posto a tutela della parte resistente, affinché, nel corso di detto periodo, rinvenga, formi e assuma un sostituto del dimissionario; e non già a tutela dello stesso dimissionario, il quale, in conseguenza del recesso, irrevocabile, sebbene con preavviso, non nutrendo più alcun metus nei confronti della parte datoriale, ben potrebbe, sin da subito, far valere giudizialmente i propri diritti.

Scarica pdf sentenza Trib. Velletri n. 664/2019

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