Secondo la Consulta, la previsione del reintegro del lavoratore come misura conseguente al recesso ingiustificato è rimessa alla discrezionalità del legislatore

Avv. Marco Sicolo - La disciplina del licenziamento in Italia è stata oggetto, nel corso dei decenni, di diversi interventi legislativi. Ognuno di questi riflette, in qualche modo, il contesto sociale nel quale è stato adottato: dallo Statuto dei lavoratori alle riforme degli ultimi anni, passando per alcuni importanti arresti giurisprudenziali della Corte Costituzionale.

E proprio le sentenze della Consulta hanno spesso influenzato l'adozione di nuovi provvedimenti legislativi, per adeguare l'ordinamento vigente al dettato costituzionale.

L'ultimo tassello, in tal senso, è la discussa sentenza n. 194 del 26 settembre 2018, con cui la Corte ha sancito la parziale illegittimità dell'art. 3 comma 1 del decreto legislativo n. 23/2015, mettendo così in discussione, in un sol colpo, il Jobs Act e il Decreto Dignità, che aveva in parte modificato tale norma.

La sentenza n. 194/18 della Corte Costituzionale

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L'aspetto saliente della sentenza
appena citata è che, con essa, la Corte censura non già la mancata previsione del reintegro del lavoratore in caso di licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo, ma semplicemente l'eccessiva rigidità dei criteri di calcolo dell'indennità spettante in simile circostanza (c.d. sistema a tutele crescenti).

Questa decisione viene giustificata, nel corpo dello stesso provvedimento, attraverso una ricostruzione storica della giurisprudenza della Corte. Da tale excursus si evince che la tutela del lavoratore, oggetto degli artt. 4 e 35 della Costituzione, non va intesa come diritto alla conservazione del posto di lavoro, bensì come dovere, per il legislatore, di predisporre le necessarie garanzie finalizzate a scongiurare e sanzionare l'arbitrarietà del licenziamento.

La tutela costituzionale del lavoro secondo la Consulta

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Tra le più importanti sentenze della Consulta su questo tema, particolare rilievo riveste la n. 45/1965, che, pur senza riconoscere rilevanza costituzionale al diritto alla conservazione del posto di lavoro, sottolineò il dovere del legislatore di prevedere opportune garanzie in caso di licenziamento. Tale richiamo trovò pronta applicazione nella l. 604/66, che prevedeva i criteri della giusta causa e del giustificato motivo.

Successivamente, l'introduzione della tutela reale prevista dall'art. 18 della l. 300/70 (Statuto dei Lavoratori), con la previsione della reintegrazione obbligatoria, dava risposta più alle istanze sociali dell'epoca che a una necessità di adeguare l'impianto normativo al dettato costituzionale.

La contemporanea giurisprudenza costituzionale, infatti, ribadiva che "i principi cui si ispira l'art. 4 della Costituzione esprimono l'esigenza di un contenimento della libertà del recesso del datore di lavoro", ma al tempo stesso "l'attuazione di questi principi resta tuttavia affidata alla discrezionalità del legislatore ordinario, quanto alla scelta dei tempi e dei modi" (sent. n. 194 del 1970).

Nello stesso senso si esprimeranno nei decenni successivi, anche in mutati contesti socio-economici del Paese, le sentenze n. 55 del 1974, n. 189 del 1975, n. 2 del 1986, n. 46 del 2000 e n. 303 del 2011. Il concetto comune a queste decisioni è che i valori costituzionali di tutela del lavoratore non impongono al legislatore la scelta di un preciso regime di tutela, che ben può, pertanto, discostarsi dal modello del reintegro del dipendente in caso di assenza di giusta causa o giustificato motivo.

E tale è stata, in linea generale, la scelta adottata con le più recenti riforme legislative in materia, come appunto quella compiuta con il Jobs Act del 2015.

Tutela reale del lavoratore e principi costituzionali

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In conclusione, quindi, la giurisprudenza costituzionale sul licenziamento aiuta a comprendere che l'attuale carattere di residualità della tutela reale, per quanto appaia come una novità di forte impatto (soprattutto in confronto a quanto disposto dall'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori), trova la sua giustificazione nella discrezionalità del legislatore.

Quest'ultimo, infatti, può attuare i principi costituzionali di tutela del lavoro nel modo che ritiene più opportuno, poiché gli stessi, come abbiamo visto, non si sostanziano necessariamente nella reintegrazione del lavoratore in caso di licenziamento ingiustificato.


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