L'introduzione dell'art. 570-bis c.p. e la recente giurisprudenza sul mantenimento dei figli maggiorenni: una questione controversa

di Emanuela Rodomonti - Il mantenimento dei figli è sancito all'articolo 30 della Carta Fondamentale ed è un dovere posto a carico dei genitori che sorge direttamente e istantaneamente dal rapporto di filiazione a prescindere dalla distinzione tra figli legittimi e figli naturali. Una recentissima sentenza della Corte di Cassazione (sez. VI penale, sent. 11 gennaio 2019, n. 1342 sotto allegata) afferma che la violazione degli obblighi di assistenza familiare di cui al 570 c.p. non sussiste in caso di mancata corresponsione dei mezzi di sussistenza a figli maggiorenni non inabili a lavoro, anche se studenti.

Mantenimento figli maggiorenni: la normativa di riferimento

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Le fattispecie che nell'assetto attuale del codice penale tutelano il mantenimento dei figli sono due: l'art 570 e l'art. 570-bis c.p.

L'art. 570 c.p. tutela i figli minori e i figli inabili a lavoro senza limiti di età, i quali hanno diritto alla prestazione dei mezzi di sussistenza. Per mezzi di sussistenza si intende quanto è necessario al soddisfacimento delle necessità essenziali della vita, e i responsabili di tale prestazione sono i genitori, in attuazione del principio di responsabilità genitoriale.

L'art. 570-bis c.p., invece, assicura la tutela dei figli maggiorenni in quanto si rivolge genericamente ai figli di coppie separate o divorziate, senza porre alcun limite di età. La prestazione dovuta, in questo caso, è molto più generica, e consiste nella dazione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di scioglimento del matrimonio o separazione. L'omissione di tale prestazione comporta una responsabilità penale del coniuge. In particolare, l'art. 337septies c.c. dispone a favore dei figli maggiorenni un assegno periodico, che può essere disposto dal giudice, nei casi in cui questi non siano economicamente indipendenti.

A colpo d'occhio si percepisce subito la rilevante disparità di trattamento fra i figli nati all'interno di un matrimonio e i figli nati da genitori non coniugati.

Al contrario, la disciplina civile sulla responsabilità genitoriale (artt. 337bis e ss. c.c.) garantisce parità di trattamento tra figli nati all'interno del matrimonio e figli nati fuori dal matrimonio. Per dirla breve, il mantenimento dei figli maggiorenni è oggetto di responsabilità penale esclusivamente nel caso di coppie coniugate.

L'introduzione dell'art. 570-bis c.p.

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L'art. 570-bis c.p. è stato introdotto dal d. lgs. 1 marzo 2018, n. 21, il quale ha introdotto nel nostro ordinamento il principio della riserva di codice, secondo il quale numerose figure di reato e circostanze previste da leggi speciali vengono trasferite all'interno del codice al fine di migliorare la conoscenza di precetti e sanzioni. L'intenzione del legislatore[1] è stata quella di assorbire e sostituire:

  • l'art. 12sexies della legge sul divorzio[2], il quale prevedeva l'applicazione delle pene previste dall'art. 570 c.p. per coloro che non avessero corrisposto l'assegno di mantenimento a favore dell'ex coniuge e dei figli;
  • l'art. 3 della legge 8 febbraio 2006, n. 54, il quale prevedeva l'applicazione dell'art. 12sexies della legge sul divorzio in caso di mancata corresponsione degli obblighi di natura economica dovuti dal coniuge separato. Il successivo art. 4, comma 2, della medesima legge afferma che tale disposizione si applica anche ai figli di genitori non coniugati.

Senonché nell'abrogare l'art. 3 della legge 8 febbraio 2006, n. 54, viene reciso ogni legame con l'art. 4 della medesima legge. Posto il divieto di analogia in materia penale, l'art. 570-bis c.p. acquista portata innovativa, in quanto prevede la responsabilità penale solo del coniuge (e non del genitore) escludendo qualsivoglia corresponsione di natura economica in favore dei figli nati da genitori non coniugati. In tal modo, l'art. 570bis c.p. viola l'art. 76 della Costituzione perché non si attiene al principio di riserva di codice contenuto nella legge delega (ma ne stravolge il significato) e introduce un'evidente disparità di trattamento che viola il principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione.

Autosufficienza economica: i limiti

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Premesso che alla luce del quadro normativo attuale la mancata dazione dell'assegno di mantenimento al figlio maggiorenne è penalmente rilevante solo nel caso di figli legittimi, occorre fare alcune precisazioni. Per potere usufruire del mantenimento bisogna tenere conto dell'età del figlio, della sua competenza professionale e dell'effettivo impegno dedicato alla ricerca di un'occupazione lavorativa a partire da raggiungimento della maggiore età. Il mancato svolgimento di un'attività produttiva di reddito (o il mancato compimento del corso di studi) non deve dipendere da un atteggiamento di inerzia ovvero da rifiuto ingiustificato del figlio. L'obbligo di mantenimento cessa al raggiungimento dell'indipendenza economica da parte del figlio maggiorenne. L'autosufficienza economica viene ancorata alle aspirazioni, al percorso scolastico, universitario e postuniversitario del soggetto ed alla situazione attuale del mercato del lavoro, con specifico riguardo al settore nel quale il soggetto abbia indirizzato la propria formazione e la propria specializzazione[3]. La prova del raggiungimento dell'autosufficienza economica del figlio spetta ai genitori.

Figli nati da unioni civili e convivenze di fatto

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Le unioni civili, con l'introduzione dell'art. 574-ter c.p., sono state equiparate al matrimonio per cui il termine "coniuge" contenuto nell'art. 570-bis c.p. va riferito anche alle unioni civili.

Diversamente per le convivenze di fatto, la tutela è rimessa esclusivamente all'art. 570 c.p., per cui vengono garantiti i soli mezzi di sussistenza al minore ovvero al figlio inabile al lavoro.


[1] V. relazione interministeriale al d. lgs. 1 marzo 2018, n. 21.

[2] legge 1° dicembre 1970, n. 898.

[3] Cass. civ., sez. I, 22 giugno 2016, n. 12952.

Scarica pdf sentenza Cassazione n. 1342/2019

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