Per la Cassazione le prestazioni sociali rispondenti ai bisogni primari della persona vanno riconosciute senza differenziazione tra cittadini italiani e stranieri con titolo di soggiorno

di Lucia Izzo - L'Inps deve riconoscere l'erogazione della pensione di invalidità al cittadino extracomunitario legittimamente soggiornante in Italia, senza restrizioni legate al possesso dei requisiti per ottenere il permesso illimitato (ex carta di soggiorno), cioè reddito di sostentamento e 5 anni di permanenza non episodica in Italia.


Lo ha deciso la Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l'ordinanza n. 23763/2018 (qui sotto allegata) pronunciandosi sul ricorso di un padre, in qualità di amministratore di sostegno della figlia, a seguito della condanna dell'Inps a corrispondere a quest'ultima la pensione di invalidità.


Tuttavia, per i giudici d'appello, la pensione spettava alla ragazza soltanto a decorrere dalla data in cui questa aveva ottenuto il permesso di soggiornante di lungo periodo. Il giudice a quo, invece, confermava la sentenza appellata, in mancanza dello stesso titolo di soggiorno, nella parte in cui aveva rigettato la pretesa per il periodo precedente.


La Corte territoriale prende atto delle pronunce della Corte Costituzionale (nn. 306/2008, 11/2009, 187/2010 e 329/2011) riconoscendo che, ai fini del conseguimento delle prestazioni sociali domandate in giudizio, è illegittimo subordinare l'erogazione delle provvidenze di natura assistenziale alla titolarità di un determinato reddito, condizionante il rilascio della carta di soggiorno (e ora del permesso per soggiornanti di lungo periodo).


A contrario, per i giudici non è impedito al legislatore condizionare l'accesso a quelle stesse provvidenze per i cittadini extracomunitari al carattere non episodico del loro soggiorno e che pertanto valesse ancora il limite temporale previsto dalla legge per ottenere la carta di soggiorno per i soggiornanti di ungo periodo (cinque anni). Di conseguenza, il diritto vantato prima del perfezionamento del requisito del regolare soggiorno per cinque anni non poteva sussistere.

Pensione di invalidità: va riconosciuta agli extracomunitari

In Cassazione, il genitore ritiene tale conclusione violativa dei dei principi di uguaglianza e di non discriminazione tra cittadini e stranieri extracomunitari in materia di disabilità, nonché di numerose convenzioni internazionali. Un ricorso che gli Ermellini ritengono meritevole d'accoglimento, soprattutto alla luce dell'orientamento giurisprudenziale formatosi a seguito delle pronunce emesse dalla Consulta nel corso degli anni.


La Corte Costituzionale, infatti, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 80, comma 19, della legge n. 388/2000 e l'art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 286/1998 nella parte in cui escludono che l'indennità di accompagnamento possa essere attribuita agli stranieri extracomunitari soltanto perché essi non risultano in possesso dei requisiti di reddito già stabiliti per la carta di soggiorno e ora previsti per il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo.


Ancora, la Corte ha dichiarato l'illegittimità della stesso art. 80, cit., nella parte in cui subordina al requisito della titolarità della carta di soggiorno la concessione agli stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello stato dell'indennità di accompagnamento e della pensione di inabilità.


La Consulta ha ribadito che ove si tratti "di provvidenze destinate al sostentamento della persona nonché alla salvaguardia di condizioni di vita accettabili per il contesto familiare in cui il disabile si trova inserito, qualsiasi discrimine fra cittadini e stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato, fondato su requisiti diversi da quelli previsti per la generalità dei soggetti, finisce per risultare in contrasto con il principio di non discriminazione di cui all'art. 14 della CEDU, avuto riguardo alla interpretazione rigorosa che di tale norma è stata offerta dalla giurisprudenza della Corte europea".


L'introduzione di una norma a carattere restrittivo viene quindi riconosciuta dalla Corte priva di giustificazione: "in ragione delle gravi condizioni di salute dei soggetti di riferimento [...] vengono infatti ad essere coinvolti una serie di valori di essenziale risalto quali, in particolare, la salvaguardia della salute, le esigenze di solidarietà rispetto a condizioni di elevato disagio sociale, i doveri di assistenza per le famiglie [...] che rendono priva di giustificazione la previsione di un regime restrittivo (ratione temporis, così come ratione census) nei confronti di cittadini extracomunitari, legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato da tempo apprezzabile ed in modo non episodico, come nei casi di specie"


In conclusione, e a differenza di quanto sostenuto dall'Inps, la Cassazione ritiene che, ai fini del riconoscimento di prestazioni sociali volte a rispondere ai bisogni primari della persona, nel nostro ordinamento non sia consentita, ex artt. 2 e 3 Cast., alcuna differenziazione tra cittadini italiani e stranieri che hanno titolo al soggiorno nel territorio dello Stato italiano (cfr. Cass. 1797/2016; 593/2016; 15944/2016; 20116/14771). Parola al giudice del rinvio.



Cass., sezione lavoro, ord. n. 23763/2018

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