Per la Cassazione il danno non patrimoniale è dovuto per il turbamento della vita personale e professionale provocato dalla diffusione della falsa notizia nel piccolo paese

di Lucia Izzo - Il paese è piccolo, la gente mormora. Un assunto che può può risultare corretto al punto da giustificare il risarcimento del danno non patrimoniale all'avvocato accusato ingiustamente da un abitante del paese di aver avuto una relazione coniugale con sua moglie. 


Chi ha diffuso la notizia, infatti, ha cercato di avvalorarla facendo ascoltare a tutti, compreso il parroco della città, un falso file audio con voci maschili e femminili che suggeriva riferibili a quella dell'avvocato e della moglie. La diffusione della notizia, il "cicaleccio"  tra i compaesani e il clamore suscitato, hanno provocato nel professionista un turbamento alla sua vita personale e professionale tale da giustificare il risarcimento.


A tale conclusione è giunta la Corte di Cassazione, sesta sezione civile, nell'ordinanza n. 17580/2018 (qui sotto allegata) pronunciandosi sul ricorso di un uomo condannato, dai giudici di merito, a risarcire un avvocato per aver diffuso la falsa notizia che il professionista intrattenesse una relazione extraconiugale con sua moglie. 


Il legale, già coniugato, aveva chiesto e ottenuto risarcimento danni evidenziando come la notizia avesse avuto ampia eco nella piccola comunità locale e avesse leso il suo onore e la sua reputazione oltre che turbato la sua vita familiare e professionale.


In particolare, come rilevato dalla Corte d'appello, l'uomo aveva inciso su un nastro una voce maschile e una femminile e aveva fatto ascoltare la registrazione a varie persone, tra cui il parroco del paese, dando volutamente a intendere che le voci ivi registrate fossero quelle dell'avvocato e della presunta amante, ovvero sua moglie.


La notizia di tale presunta relazione ebbe grande scalpore sia nel luogo di residenza dei protagonisti, sia nei paesi limitrofi, venne ripresa dalla stampa locale, e continuò per molto tempo a suscitare i più diversi commenti provocando serio turbamento alla vita professionale e familiare dell'avvocato, coniugato con prole.

Sì al risarcimento per l'avvocato accusato ingiustamente di infedeltà

In Cassazione, l'uomo contesta il risarcimento per cui è stato condannato evidenziando che il danno sia stato erroneamente ritenuto in re ipsa, mentre sarebbe stato necessario dimostrate il concreto pregiudizio derivato all'avvocato e, in ogni caso, stimare il danno tenendo conto delle condizioni economiche del debitore.


In realtà, rilevano gli Ermellini, il giudice a quo ha ampiamente e correttamente illustrato le ragioni per le quali ha ritenuto sussistente un danno non patrimoniale risarcibile. 


La Corte territoriale, infatti, ha dato conto analiticamente degli elementi di fatto dai quali ha desunto l'esistenza d'un turbamento dell'animo dell'attore, e quindi d'un danno non patrimoniale: ovvero la diffusione avuta dalla notizia, il clamore che suscitò, i cicalecci prolungati tra i compaesani, le voci sulla probabilità d'un imminente divorzio dalla propria consorte. 


La sentenza, dunque, non ha affatto liquidato il danno non patrimoniale sulla base della sola dimostrazione della lesione del diritto, ma ha al contrario accertato in concreto l'esistenza d'un pregiudizio non patrimoniale facendo ricorso, correttamente, a indici esterni e a presunzioni semplici ex art. 2727 del codice civile.


Nonostante la Corte d'appello abbia affermato che la gravità della notizia diffusa "potrebbe considerarsi un

danno in re ipsa" questa, ha fatto uso del condizionale con valore concessivo e ha comunque elenca analiticamente i fatti noti dai quali è risalita al fatto ignorato dell'esistenza del danno.


In sostanza, i giudici a quo non hanno affatto liquidato un danno presunto, ma un danno accertato in concreto. In definitiva, secondo la Cassazione, è come se la Corte avesse stabilito: "avrei anche potuto ritenere il danno in re ipsa, ma non l'ho fatto perché comunque esso era evidente e tangibile". Il ricorso va dunque rigettato.

Cass., VI civ. ord. n. 17580/2018

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