Per il tribunale di Pordenone, in materia di danno cagionato da animali, la responsabilità è del custode di fatto se il proprietario si è spogliato del governo del cane

di Marina Crisafi - Chi porta il cane a spasso rischia di pagare i danni provocati dallo stesso anche se non è il proprietario. Lo ha sancito il tribunale di Pordenone, con la recente sentenza n. 333/2017 (sotto allegata) condannando al risarcimento dei danni patiti da una donna caduta dalla bici perché un cane le aveva tagliato la strada, il figlio della reale padrona del quadrupede che quel giorno lo aveva portato fuori.

La vicenda

La donna, che aveva perso l'equilibrio ed era caduta dalla bici, per via dell'attraversamento improvviso di uno Schnauzer di taglia media, chiamava in giudizio la proprietaria del cane, per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non subiti, sostenendo che il sinistro fosse da "imputare ad esclusiva responsabilità della convenuta per la mancata custodia dell'animale".

La proprietaria confermava che era stato il figlio a portare il cane fuori e si difendeva, tra l'altro, chiamando in causa l'assicurazione, la quale eccepiva però l'insussistenza della copertura, in quanto la polizza era stata stipulata dalla figlia, mentre il cane al momento del sinistro, era affidato alla custodia del fratello (non convivente) di cui contestualmente si chiedeva la chiamata in causa.

Danni dal cane: paga chi lo porta a spasso

Il Tribunale di Pordenone, ritenuto del tutto accertato a seguito dell'istruttoria svolta il fatto storico, sia con riferimento alla circostanza della caduta della donna sia con riguardo all'attraversamento della strada da parte del cane, riteneva che non fosse stata fornita dai convenuti "la dimostrazione di una condotta di guida negligente o imprudente - da parte della vittima dell'incidente - sicché del tutto ragionevole è la riconducibilità causale della caduta dell'attrice a causa della repentina comparsa del cane sulla strada, fattore imprevedibile ed inevitabile con l'ordinaria diligenza, e, pertanto, della assorbente responsabilità (ndr del figlio) per l'omessa custodia del proprio animale, nella causazione del sinistro".

Quanto all'individuazione del soggetto giuridicamente responsabile della custodia del cane

, benché sia la madre, la proprietaria dell'animale in base all'iscrizione all'anagrafe canina, "è pacifico, tuttavia, che al momento del sinistro l'unico ad esercitare l'effettiva vigilanza di fatto sul cane fosse - il figlio - ed è, pertanto, in capo a quest'ultimo che deve configurarsi la piena responsabilità ai sensi dell'art. 2052 c.c.".

L'orientamento della Cassazione in materia di danno cagionato da animali

E richiamando l'insegnamento della Cassazione, il giudice ha affermato inoltre che: "In tema di danno cagionato da animali, poiché l'art. 2052 c.c. impone l'obbligo di predisporre le necessarie cautele - fatta salva la possibilità della prova del caso fortuito - indifferentemente sia al proprietario dell'animale sia a chi se ne serva per il tempo in cui lo ha in uso, il proprietario si libera della responsabilità solo ove provi di essersi spogliato dell'utilizzo dell'animale, senza che a tal fine possa essere ritenuta sufficiente la prova del momentaneo affidamento dello stesso ad altri, qualora detto affidamento sia accompagnato dal mantenimento della diretta sorveglianza sull'animale medesimo" (cfr. Cass. n. 979/2010).

Nella vicenda, è acclarato che al momento del sinistro la proprietaria non esercitava alcuna vigilanza e sorveglianza sull'animale. Per cui, sempre richiamando i giudici di legittimità: "In tema di danno cagionato da animali, l'art. 2052 c.c. prevede, alternativamente e senza vincolo di solidarietà, la responsabilità del proprietario dell'animale ovvero dell'utilizzatore, evenienza questa ipotizzabile solo allorché il proprietario si sia spogliato, in fatto o in diritto, del governo dell'animale" (cfr. Cass. n. 25738/2015). Ne consegue che solo il figlio, custode di fatto del cane al momento del sinistro, dovrà risarcire i danni nei confronti della donna, quantificati in oltre 28mila euro.

Tribunale Pordenone, sentenza n. 333/2017

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