Per la Cassazione abusa degli strumenti processuali il legale che fraziona il credito in giudizio senza che ne ricorrano necessità effettive

di Lucia Izzo - Abusa degli strumenti processuali l'avvocato che fraziona il suo credito provocando la moltiplicazione dei giudizi, senza che ricorrano effettive necessità.


Lo ha precisato la Corte di Cassazione, sesta sezione civile, nell'ordinanza n. 25060/2017 (qui sotto allegata), con cui i giudici si sono pronunciati circa la vicenda di un legale che aveva intentato ben cinquantuno diverse cause contro Poste Italiane.

La vicenda

Nei suoi numerosi giudizi, il legale aveva chiesto il risarcimento dei danni derivati dal ritardo, superiore ai dieci giorni, nella consegna di una serie di lettere raccomandate da lui spedite.


Il giudice di prime cure aveva accolto la domanda e, dopo aver riunito i giudizi, aveva condannato la convenuta al pagamento per ciascuna singola domanda (benchè riunita) della somma di euro 3,90 (il costo della singola raccomandata), più 600 euro a titolo di responsabilità aggravata, nonché al pagamento delle spese di giudizio.


In sede di gravame, il ricorso della società era stato dichiarato inammissibile, poiché i motivi di appello non rientravano nei casi tassativi di cui all'art. 339 c.p.c.: per il Tribunale, la riunione di più cause, originariamente separate, non avrebbe fatto venir meno l'autonomia dei singoli giudizi e dei rispettivi titoli.


Inoltre, la sentenza che li aveva definiti, sebbene unica, constava di tante pronunce quante erano quelle riunite e il valore di ciascuna delle cause, nel caso di specie, non violava la soglia fissata dalla legge per il giudizio di equità.

Avvocati: moltiplicare i giudizi è abuso degli strumenti processuali

Da qui il giudizio in Cassazione, con cui la società lamenta nuovamente la lesione dei principi di buona fede e correttezza, con conseguente abuso del diritto, per il fatto l'avvocato abbia agito frazionando il proprio credito in tante cause uguali (ognuna con valore pari al costo della singola raccomandata), ottenendo in tal modo un'indebita lievitazione dei compensi in suo favore.


Si tratta di una doglianza che gli Ermellini ritengono di dover condividere, precisando che spetta al giudice di legittimità, nella sua funzione di nomofilachia, stabilire se la violazione, invocata dalla ricorrente nel giudizio di appello, possa andare o meno a integrare uno dei principi regolatori della materia (art. 339, terzo comma, c.p.c.).


Il Collegio precisa che l'invocata lesione dei principi di correttezza e lealtà processuale, stante i 51 separati giudizi intrapresi dal legale per il risarcimento dei danni da ritardo della consegna delle altrettante raccomandate, costituisce individuazione di un principio regolatore che, alla luce dell'art. 339 c.p.c., astrattamente consente di proporre appello avverso le sentenze del giudice di pace

pronunciate nei limiti della sua giurisdizione equitativa.


L'avvocato, in linea di massima, deve evitare la moltiplicazione dei giudizi, a meno che ciò non corrisponda a effettive necessità, altrimenti tale comportamento si risolve in un abuso degli strumenti processuali.


L'appello, pertanto, non doveva essere dichiarato inammissibile e dunque la sentenza impugnata va cassata con rinvio a diverso Tribunale affinché giudichi il merito del gravame.

Cass., VI civ., ord. n. 25060/2017

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