Per la Cassazione le condotte aggressive e violente dopo la cessazione della convivenza rilevano ai sensi dell'art. 612-bis c.p.

di Lucia Izzo - Violenza, vessazioni e insulti al partner non legato da vincolo di coniugio che proseguono anche dopo che sia cessata la convivenza rilevano quali episodi di stalking aggravato, ex art. 612-bis, comma 2, c.p. e non come maltrattamenti in famiglia.


Lo ha disposto la Corte di Cassazione, sesta sezione penale, nella sentenza n. 35673/2017 (qui sotto allegata) accogliendo in parte il gravame interposto da un uomo condannato per il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi ex art. 572 c.p. perpetrato ai danni della convivente e delle figlie.

La vicenda

Le condotte pesantemente aggressive e persecutorie dell'imputato nei confronti delle vittime sono continuate dopo la fine del rapporto con la convivente e si sono realizzate attraverso ripetute minacce di morte anche mediante l'uso di armi, appostamenti sotto casa o nei centri commerciali, telefonate alle figlie, gomme tagliate e aggressioni dietro appostamenti Tali atteggiamenti avevano provocato uno stato di disagio, malessere e forte preoccupazione nelle vittime, sfociato in una chiara sintomatologia di stresse timore per la propria incolumità fisica.


Tuttavia, se il primo giudice aveva concluso qualificando tali atteggiamenti come episodi di stalking, poiché consumati dall'imputato dopo la cessazione della convivenza, i giudici d'appello hanno ritenuto trattavasi di condotte rientranti nell'ipotesi di cui all'art. 572 c.p., così giustificandone la permanenza.

Maltrattamenti a convivenza cessata rilevano come stalking

Tuttavia, precisano gli Ermellini, l'interpretazione corretta è quella del primo giudice: si configura, dunque, l'ipotesi aggravata del reato di atti persecutori (ex art. 612-bis, comma secondo, c.p.) in presenza di comportamenti che, sorti nell'ambito di una comunità familiare, o a questa assimilata, ovvero determinati dalla sua esistenza e sviluppo, esulino dalla fattispecie dei maltrattamenti per la sopravvenuta cessazione del vincolo familiare e affettivo, o comunque della sua attualità temporale.


L'oggettività giuridica delle due fattispecie (stalking e maltrattamenti in famiglia) è diversa come diversi sono i soggetti attivi, ancorché le condotte materiali dei reati appaiano omologabili per modalità esecutive e tipologia lesive: il reato ex art. 572 c.p., infatti, è un reato contro la famiglia e il suo oggetto giuridico è costituito dai congiunti interessi dello Stato, a tutela della famiglia da comportamenti vessatori e violenti, e dell'interesse delle persone facenti parte del nucleo familiare alla loro incolumità psicofisica.


Si tratta di un reato proprio che può essere commesso solo da chi ricopre un ruolo nel contesto della famiglia o nelle aggregazioni a questa assimilate. Invece, il reato di atti persecutori può essere commesso da chiunque, con atti di minaccia o molestia di reiterati (reato abituale), e non presuppone l'esistenza di interrelazioni soggettive specifiche.


La Corte ritiene che la cessazione della convivenza da parte dell'imputato, non legato con la donna maltrattata da rapporto di coniugio, non consente di qualificare la prosecuzione della condotta persecutoria nell'ambito del reato di maltrattamenti ipotizzato dall'accusa, dovendosi invece far ricadere il fatto nella fattispecie di stalking.


La sentenza va dunque annullata senza rinvio, riqualificando i fatti successivi alla cessazione della convivenza nell'ambito dell'art. 612 bis c.p.

Cass., VI sez. pen., sent. n. 35673/2017

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