Non serve la preventiva proposta di vendita

Avv. Gabriele Mercanti - Di rilevante interesse sia pratico sia giuridico è il pronunciato della sentenza n. 16314 della Seconda Sezione Civile della Cassazione depositata il 4 agosto 2016 (qui sotto allegata).

Prima di entrare nel merito della questione oggetto di causa, occorre ricordare preliminarmente come l'art. 732 c.c. attribuisca al coerede (cioè al soggetto facente parte di una comunione costituitasi a titolo ereditario) il diritto di prelazione (1) per il caso in cui altro coerede intenda a alienare (2) a estranei (alla comunione medesima) (3) l'intera propria quota ereditaria o parte di essa (4). Questo significa che allorquando il coerede intenda addivenire alla cessione nei confronti di soggetti terzi dell'intera propria quota ereditaria o parte di essa, non possa farlo liberamente e ciò nel senso che: in prima battuta debba interpellare gli altri coeredi, comunicando loro l'intenzione di alienare e le condizioni della prospettata cessione; in seconda battuta e solo, quindi, ove gli altri coeredi non si siano avvalsi del diritto di prelazione, potrà liberamente addivenire all'operazione cedendo all'estraneo.

Non solo: ove tale iter logico - procedimentale non sia stato debitamente rispettato, il coerede leso nel proprio diritto di essere preferito nell'acquisto al terzo estraneo, potrà - addirittura - riscattare direttamente contro il terzo quanto da questi acquistato.

Il citato art. 732 c.c., inoltre, stabilisce un termine ben preciso entro il quale il diritto di prelazione in questione possa essere esercitato: due mesi dalla notifica dalla proposta di alienazione da parte del coerede che intende cedere, dopodichè la quota è liberamente cedibile all'estraneo.

Se da un lato non esiste dubbio sul fatto che il diritto di prelazione ex art. 732 c.c. sia un diritto rinunziabile da parte del titolare, dall'altro può discutersi circa il momento a partire dal quale detta rinuncia possa essere validamente effettuata dall'avente diritto.

Nel caso giudiziario in commento, alcuni coeredi - muniti di preventiva rinuncia alla prelazione da parte degli altri coeredi - dapprima avevano stipulato alcuni contratti preliminari di vendita

aventi ad oggetto quote ereditarie, e - successivamente - avevano effettuato ulteriori cessioni immobiliari senza interpellare i coeredi, reputando che la precedente rinuncia al diritto di prelazione fosse generale e non limitata alla singola operazione costituita dai contratti preliminari. Gli altri coeredi, evidentemente, la pensavano diversamente da cui il contenzioso.

Ed ivi è il fulcro della questione: per poter validamente rinunciare ad un diritto di prelazione ereditaria occorre che ci sia stata una precisa proposta di alienazione o si può genericamente rinunciare al diritto di prelazione ereditaria in sé e per sé a prescindere da una predeterminata operazione traslativa?

La sentenza in commento, confermando le decisioni di primo e secondo grado, afferma che si può rinunciare "anche preventivamente e perciò pure con riguardo ad un'alienazione progettata genericamente, giacchè tale diritto si acquista insieme con la qualità ereditaria e, quindi, preesiste alla denuntiatio".

Il S.C., quindi, conferma una linea di tendenza di favor verso la "liberalizzazione" delle cessioni di quote ereditarie (5), il che - da un punto di vista strettamente pratico - non può che facilitare lo svolgimento delle operazioni: in base al principio esposto, infatti, il coerede disinteressato ai cespiti ereditari ben può rinunciare a priori al proprio diritto di prelazione, e - per l'effetto - "uscire di scena" definitivamente, senza dover attendere volta per volta che gli si prospetti una concreta operazione di cessione.

Va da sé, inoltre, che mentre la rinuncia effettuata in ordine ad una specifica operazione (cioè per un preciso prezzo e a predeterminate condizioni) vale solo per essa, e - quindi - se il coerede alienante decidesse di cedere a diverse condizioni dovrebbe nuovamente interpellare i coeredi, la rinuncia preventiva determina irrevocabilmente la perdita del diritto di prelazione una volta per tutte.

Ad avviso di chi scrive il principio affermato dagli Ermellini è più che condivisibile, in quanto il diritto di prelazione sorge ove ne ricorrano i presupposti di Legge, apparendo quantomeno artificioso considerare - invece - che il diritto de quo sì nasca, ma poi si trovi in uno stato di quiescenza sino a che al prelazionario non pervenga la concreta proposta di alienazione.

Avv. Gabriele Mercanti - Foro di Brescia - avv.gabrielemercanti@gmail.com

www.avvocatogabrielemercanti.it

(1) Il diritto di prelazione non trova una regolamentazione organica nel nostro sistema che, come nel caso di specie, sembra darla per presupposta. Ad ogni modo ed in linea di principio, per diritto di prelazione si intende il diritto di essere preferiti nella conclusione di un determinato contratto: in sintesi, il prelazionario non ha un diritto di concludere il contratto, ma nel caso in cui la controparte decida di stipularlo ha diritto di preferenza rispetto agli altri.

(2) Non può in questa sede approfondirsi il novero delle operazioni contrattuali che fanno scattare o meno il diritto di prelazione, contrapponendosi un orientamento restrittivo che equipara il termine "alienazione" a quello di compravendita ad uno più liberale che, invece, tende ad allargare le maglie dell'area dell"alienazione" rispetto alla sola compravendita di cui all'art. 1470 c.c..

(3) Non deve fuorviare il dato letterale della norma: estraneo è semplicemente colui che non fa parte della comunione, essendo del tutto irrilevante sul punto il grado di parentela (quindi, si può avere un parente che è estraneo alla comunione ereditaria, come può aversi un coerede che non è legato da vincoli di parentela con il defunto).

(4) La prelazione, dunque, riguarda i casi di cessione (totali o parziali) di quote ereditarie e non di cessione di singoli cespiti che, a prescindere dalla loro disciplina (peraltro oggi più che mai oggetto di vivo dibattito), non determinano l'insorgere di diritti di prelazione.

(5) Cfr. Cass. n.ri 624/1994 e 310/1999; in senso contrario cfr. Cass. n. 3.557/1975.

Cassazione, sentenza. 16314/2016

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