Far pesare al partner di non percepire alcun reddito può integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia

di Lucia Izzo - "E io pago" recitava Totò, un motto ormai diffuso nel linguaggio comune per sottolineare l'accollarsi degli esborsi sgraditi e che nel celebre film del principe Antonio De Curtis valeva ad accentuare atteggiamenti di avarizia, egoismo e indifferenza.

E se sulla pellicola si ride dei caratteri esasperati dalla recitazione, non avviene lo stesso nella vita di coppia, dove spesso è il partner a far pesare all'altro di non contribuire adeguatamente al ménage familiare, rappresentando sostanzialmente "un peso".


Un atteggiamento che, soprattutto in famiglie monoreddito, può far scaturire insanabili contrasti nella coppia nei confronti del partner che tale reddito non produce.

Un'evenienza che la Corte di Cassazione ha valutato espressamente nella sentenza n. 40845/2012, affermando il principio secondo cui costituisce reato offendere la propria moglie, apostrofandola come "mantenuta", perché non porta uno stipendio in casa.


Nel caso di specie, il marito "lavoratore" era solito offendere la partner con epiteti infamanti e umilianti, sottolineando il suo non percepire alcun reddito, essendo impegnata ancora con l'università.

Per gli Ermellini, infatti, far pesare costantemente alla donna la mancanza del lavoro, è un atteggiamento idoneo a integrare il reato di maltrattamenti in famiglia ex art. 572 c.p., tradizionale reato a forma libera, connotato da abitualità e condotta plurima, che può essere posto in essere con qualunque tipo di condotta reiterata nel tempo.


Nel caso di specie, l'ostilità dell'uomo si è spinta al punto far pesare alla consorte il fatto di non contribuire al ménage familiare e di essere a suo completo carico. Accusata di essere, sostanzialmente una "mantenuta" la donna veniva anche ingiuriata con l'insulto "baldracca" come appare dai vaglia on line in cui, sulla causale del contributo per il mantenimento della figlia minore, capeggiava il diminutivo "baldr".


È stato evidenziato, precisano i giudici, come l'uomo, fin dall'inizio della vita coniugale, era solito offendere la moglie rivolgendosi a lei con epiteti infamanti e umilianti, facendole pesare di essere a suo carico non percependo un proprio reddito, sì da instaurare un regime di vita logorante, volto al continuo discredito della moglie annientandone la personalità.


A pesare sulla condanna, nel caso in esame, è anche un tentativo di rapporto sessuale, preteso con forza dal marito e, pertanto, considerato un tentato stupro: infatti, indipendentemente dal rapporto matrimoniale, "il reato di violenza sessuale è configurabile ogni qual volta vi sia un costringimento fisico-psichico idoneo a incidere sulla libertà di autodeterminazione del partner".


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