Non rileva il rapporto coniugale se la vittima, sopraffatta e umiliata, non è capace di autodeterminarsi a causa delle violenze o minacce

di Lucia Izzo - Il reato di violenza sessuale può configurarsi anche in una coppia sposata, laddove il coniuge, sottoposto a costrizione psico-fisica che incide sulla sua capacità di autodeterminazione, venga costretto ad avere rapporti sessuali col coniuge.


Lo ha ribadito la Corte di Cassazione, quinta sezione penale, sentenza n. 15632/2016 (qui sotto allegata) rigettando il ricorso di un uomo, condannato per violenza sessale nei confronti della moglie.


Il Collegio ha evidenziato che ai fini della configurabilità del reato di violenza sessuale, è sufficiente qualsiasi forma di costruzione psico-fisica idonea a incidere sull'altrui capacità di autodeterminazione, senza che rilevi in contrario l'esistenza di un rapporto di coppia coniugale o para-coniugale tra le parti, né la circostanza che la donna non si opponga palesemente ai rapporti sessuali, subendoli.


Il reato si manifesta laddove risulti provato che l'agente, per le violenze e minacce poste in essere nei riguardi della vittima in un contesto di sopraffazione e umiliazione, abbia la consapevolezza di un rifiuto implicito da parte di quest'ultima al compimento di atti sessuali.

Si tratta di principi ribaditi in tempi recenti dalla stessa Corte di legittimità (sent. 39865/2015).


Nel caso in esame il Giudice a quo, correttamente e logicamente, sulla base delle dichiarazioni della parte offesa, ha ritenuto sussistente la continua pervicacia nella sopraffazione sessuale dell'imputato nei confronti della moglie, ridotta, nell'ambito di una situazione di vero e proprio degrado familiare, anche a mero oggetto di piacere sessuale.


Il ricorso va rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

Cass., V sez. pen., sent. n. 15632/2016

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