La reazione della persona offesa è giustificata dall'ansia e dallo stress, non dovendo questa rimanere inerme di fronte all'aggressore

di Lucia Izzo - Se la vittima di stalking reagisce, anche in maniera violenta, il persecutore è comunque assoggettato alla condanna prevista dall'art. 612-bis del codice penale: infatti, è giustificato che la persona offesa reagisca in maniera incontrollata alle minacce subite dal proprio aggressore, visto lo stress e lo stato d'ansia a cui viene sottoposta.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, sezione quinta penale, nella sentenza 15603/2016 (qui sotto allegata), dichiarando inammissibile il ricorso di un uomo, condannato per condannato per stalking.

A sua difesa, il ricorrente deduce, tra l'altro, la reciprocità delle molestie e minacce tra lui e la vittima, ritenendo per questo motivo non configurabile la fattispecie di reato prevista dal codice penale.

Tuttavia, la doglianza non convince gli Ermellini: i giudici evidenziano che "la reciprocità dei comportamenti molesti non esclude la configurabilità del delitto di atti persecutori, incombendo, in tali ipotesi, sul giudice un più accurato onere di motivazione in ordine alla sussistenza dell'evento di danno, ossia dello stato d'ansia o di paura della presunta persona offesa, del suo effettivo timore per l'incolumità propria o di persone ad essa vicine o dalla necessita del mutamento delle abitudini di vita".

Nel caso di reciprocità di atti minacciosi, in sostanza, occorre verificare se vi sia una posizione di ingiustificata predominanza di uno dei due contendenti, tale da consentire di qualificarne le iniziative minacciose e di molestie come atti di natura persecutoria e le reazione della vittima come esplicazione di un meccanismo di difesa volto a sopraffare la paura.

Inoltre, non può dirsi che che in caso la vittima reagisca vi sia, comunque, l'assenza dell'evento richiesto dalla norma incriminatrice, non potendosi accettare l'idea di una vittima inerme alla mercé del suo molestatore e incapace di reagire.

Anzi, non è neanche da escludere che una situazione di stress o ansia possa generare reazioni incontrollate della vittima anche nei riguardi del proprio aggressore.

Il reato di stalking, infatti, si configura come reato di evento in contrapposizione al reato di minaccia (ex art. 612 c.p.), qualificato come reato di pericolo, pur costituendo la minaccia elemento costitutivo comune ad entrambe le fattispecie.

Nel caso in esame, la Corte territoriale ha fornito un'adeguata risposta motivazionale, precisando che i comportamenti ascritti alla persona offesa dovevano essere considerati come reazioni inconsulte a una situazione di pericolo avvertita in conseguenza delle violenze e delle minacce subite a causa delle iniziative dell'imputato; inoltre, sussistendo una sproporzione tra gli effetti delle violenze subite dalla persona offesa (gravi e fisiche) e le sue reazioni verbali o fisiche (senza mai che l'imputato ne subisse conseguenze rilevanti), depongono per la configurabilità del reato di atti persecutori e per l'insussistenza di cui all'art. 62, n. 2, del codice penale.

Cass., V sez. pen., sent. 15603/2016

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