Se il comportamento del soggetto passivo asseconda quello del soggetto agente viene meno il requisito del mutamento radicale delle abitudini della vittima
di Valeria Zeppilli - Se si ritiene di essere vittima di stalking, bisogna guardarsi bene dal rispondere al telefono quando il nostro persecutore ci chiama. Almeno se non si vuole incorrere nel rischio che non venga fatta giustizia.

Con una sentenza che darà molto da discutere, infatti, la Corte di Cassazione ha escluso la configurabilità del reato in parola nell'ipotesi in cui, come nel caso sottoposto alla sua attenzione, la persona offesa assuma un comportamento conciliante nei confronti del presunto stalker.

Più nel dettaglio, nella sentenza numero 9221/2016, depositata ieri (qui sotto allegata), la Corte ha affermato che nel caso in cui il soggetto passivo, con il proprio comportamento, assecondi quello del soggetto agente, viene meno il requisito, indispensabile per la configurazione del reato di stalking, del mutamento radicale delle abitudini della vittima anche a seguito della situazione di ansia che ne segna in modo irreversibile la vita. 

Infatti, la configurazione degli atti persecutori è caratterizzata non solo dalla reiterazione della condotta nel tempo ma anche dal pregiudizio alla persona, da porre in correlazione con la ripetitività.

Come ricordato dalla Corte, insomma, se gli atti di "disturbo" non sono seguiti da un evento-danno sulla persona, la fattispecie non può dirsi integrata. 

Poiché nel caso di specie la ragazza aveva risposto alle telefonate del proprio interlocutore anziché prenderne le distanze e aveva acconsentito a un incontro chiarificatore, il suo comportamento è stato valutato dai giudici, anche del merito, come poco coerente e di certo idoneo ad escludere che gli atteggiamenti incriminati configurino un'ipotesi di atti persecutori. 

Corte di cassazione testo sentenza numero 9221/2016
Valeria Zeppilli

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