Sotto il profilo deontologico, il divieto di intrattenersi con i testi vale anche per quelli futuri

di Marina Crisafi - "L'avvocato deve evitare di intrattenersi con i testimoni o futuri tali (cioè coloro che non abbiano ancora formalmente assunto detta qualità), sulle circostanze oggetto del procedimento con forzature e suggestioni dirette a conseguire deposizioni compiacenti". Lo ha affermato il Consiglio Nazionale Forense, nella sentenza n. 133/2014, resa nota in questi giorni sul sito istituzionale (qui sotto allegata), ritenendo infondato, sul punto, il ricorso presentato da un avvocato avverso la decisione del Consiglio dell'ordine degli avvocati di Bologna che le infliggeva la sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio dell'attività professionale per la durata di 4 mesi.

Decidendo su tre esposti presentati nei confronti della professionista, il COA riteneva che la stessa, avesse violato i doveri di lealtà e correttezza riguardo ai rapporti con i testimoni, avendo preso contatti telefonici con alcuni dipendenti di uno degli esponenti, marito della propria assistita, informandoli che li avrebbe citati nell'ambito del giudizio di separazione personale al fine di dimostrare eventuali irregolarità contabili nella gestione della farmacia presso la quale gli stessi erano impiegati.

Per il CNF il Consiglio ha ragione.

E a nulla valgono le censure della professionista, secondo la quale, era stato indebitamente esteso il perimetro di riferimento dell'art. 52 del codice deontologico, non avendo assunto i soggetti, all'epoca dei fatti, la qualità di testimoni.

Per la ricorrente, infatti, l'art. 52 C.d.f. andrebbe interpretato presupponendo sia l'esistenza di un procedimento nonché l'assunzione della qualifica di testi dei soggetti con i quali, nella fattispecie concreta, aveva intrattenuto il colloquio telefonico. Per cui, stante il divieto dell'interpretazione analogica o estensiva delle norme deontologiche, la sanzione inflitta per aver esteso il precetto anche ai potenziali testimoni andava annullata.

Ma il CNF ribatte invece che la censura non coglie nel segno.

Il presupposto della qualità di testimone è richiesto, infatti, ha ricordato il Consiglio, richiamando la giurisprudenza della Suprema Corte (cfr. sentenza n. 37503/2002) ai fini penali dall'art. 377 c.p., affinché "ricorra il delitto di subornazione di testi".

Tuttavia, la condotta tenuta dall'avvocato pur non esponendosi al giudizio di disvalore contenuto nel precetto penale, "non si sottrae alla valutazione sotto il profilo deontologico, in quanto la norma di cui all'art. 52 c.d.f. abbraccia un perimetro più vasto di quello penale, in quanto il bene qui tutelato non è, o non è solo, l'amministrazione della giustizia, ma l'esercizio del diritto di difesa delle altre parti del processo (diritto che sarebbe reso vano dalla predeterminazione del contenuto della deposizione) e la stessa regola di lealtà (assunta correttamente a parametro nel capo di incolpazione) e correttezza imposta all'attività dell'avvocato".

Per cui la decisione del Coa è sufficientemente motivata. Tuttavia, in accoglimento degli altri motivi di ricorso, ha deciso il CNF, la pena va rideterminata e può bastare la sanzione della censura.

Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 133/2014

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