Per il reato ex art. 612-bis c.p. è sufficiente l'effetto destabilizzante sulla serenità della persona offesa, senza indicare tempo e luogo dei singoli episodi

di Lucia Izzo - Affinché si verifichi il grave e perdurante stato di turbamento emotivo che provoca il reato di stalking, non è necessario l'accertamento di uno stato patologico conclamato, essendo sufficiente che gli atti persecutori abbiano un effetto destabilizzante della serenità dell'equilibrio psicologico della vittima, per cui assumono rilevanza tanto le dichiarazioni della persona offesa, quando le sue condotte, conseguenti e successive all'operato dell'agente. Non è richiesta inoltre la precisa collocazione temporale e specifica dei singoli atti persecutori, essendo sufficiente una collocazione di massima, la descrizione degli stessi e gli effetti da questi derivanti alla vittima. 

Così ha disposto la Corte di Cassazione, quinta sezione penale, nella sentenza n. 49613/2015 (qui sotto allegata) con cui ha rigettato il ricorso di un uomo accusato del reato di stalking nei confronti di una donna. Il comportamento del ricorrente, secondo i giudici del gravame, ricadeva nella fattispecie di cui all'art. 612-bis c.p. in quanto aveva reiteratamente molestato la parte offesa in modo da provocare nella medesima un perdurante stato di ansia e di paura e uno stato di stress prolungato con conseguente assunzione di farmaci depressivi, costringendo la donna a modificare le proprie abitudini di vita, cambiando abitazione e modificando i percorsi stradali per raggiungere il lavoro e facendosi accompagnare da terze persone.

Dinnanzi agli Ermellini il ricorrente lamenta la mancata precisazione del dies a quo dal quale computare l'inizio della condotta illecita.

I giudici chiariscono che la sentenza d'appello, correttamente ha evidenziato che "ai fini della rituale contestazione del delitto di stalking, che ha natura di reato abituale, non si richiede che il capo di imputazione rechi la precisa indicazione del luogo e della data di ogni singolo episodio nel quale si sia concretato il compimento di atti persecutori, essendo sufficiente a consentire un'adeguata difesa la descrizione in sequenza dei comportamenti tenuti, la loro collocazione temporale di massima e gli effetti derivatine alla persona offesa".

Priva di pregio anche la doglianza riguardante la richiesta di perizia psichiatrica formulata dal difensore in sede di appello, sulla base della patologia sofferta dal ricorrente quale personalità paranoidea e morbo di Crohn.

Il giudice ha chiarito che i dati sanitari più recenti non hanno mostrato problemi legati a patologie psichiatriche, escludendo che i disturbi di cui soffriva l'imputato fossero idonei ad incidere sulla sua capacita d'intendere e di volere.

Per quanto riguarda il reato di stalking, nel caso di specie la prova è correttamente ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico, ricavati dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, da quelle dei testi escussi e dai comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente. In particolare la persona offesa ha evidenziato che a causa delle minacce e delle molestie dell'imputato, appostato continuamente presso la sua residenza, era stata costretta a rivolgersi ad uno psicologo e ad assumere antidepressivi e sonniferi, circostanze confermate dal marito e dal medico di base.

Pertanto il ricorso va rigettato e il ricorrente condannato alla rifusione delle spese processuali, anche sostenute dalla parte civile.

Cass., V sez. penale, sent. 49613/2015

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