Il giudice non può riconoscere solo un credito pecuniario, ma deve dichiarare i beni ereditari e la quota di proprietà del legittimario

di Lucia Izzo - La reintegrazione della quota di legittima, conseguente l'esercizio dell'azione di riduzione, va effettuata con beni in natura, salvi i casi eccezionalmente previsti dall'art. 560, commi 2 e 3, c.p.c. per la riduzione dei legati e delle donazioni.


Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, seconda sezione civile, nella sentenza n. 24755/2015 (qui sotto allegata) accogliendo il ricorso delle tre figlie di un uomo che aveva, con testamento olografo, lasciato ai suoi figli maschi la proprietà di tutti i suoi beni mobili e immobili e alla moglie l'usufrutto generale sugli stessi.

Le eredi legittimarie avevano chiesto al giudice la riduzione delle disposizioni testamentari del de cuius e la reintegrazione nella loro quota di riserva, con la condanna dei convenuti alla corresponsione della quota dei frutti ad esse spettanti.

Sia in primo che in secondo grado, determinato il valore della quota spettante a ciascuna delle attrici e dichiarata la riduzione delle disposizioni testamentarie, la domanda di divisione viene dichiarata inammissibile in quanto tardivamente proposta.


I giudici di Cassazione premettono che l'ordinamento giuridico prevede, a tutela dell'interesse generale alla solidarietà familiare, che i più stretti congiunti del de cuius abbiano il diritto di ottenere, anche contro la volontà del defunto e in contrasto con gli atti di disposizione posti in essere dallo stesso, una quota di valore del patrimonio ereditario e dei beni donati in vita dal defunto stesso (c.d. diritto di legittima o di riserva).

Se il legittimario pretermesso ottiene la reintegrazione della quota di legittima, acquista la qualità di erede pro-quota, divenendo partecipe alla comunione ereditaria nella misura frazionaria prevista dalla legge.


Se il giudice, come nel caso di specie, accoglie la domanda di riduzione deve anche dichiarare quali siano i beni ereditari e quale sia la quota di partecipazione del legittimario alla proprietà

degli stesso e non semplicemente il valore economico della quota di eredità spettante.

La divisione disposta con testamento, nella quali il testatore non abbia contemplato le posizioni di alcuno dei legittimari, è nulla ex art. 735 c.c. e tale nullità può esser fatta valere da chiunque vi abbia interesse ed è rilevabile d'ufficio dal giudice.


Ha errato la Corte d'Appello nel riconoscere alle attrici solo un credito meramente pecuniario nei confronti dei convenuti, ed anche a ritenere che le appellanti non avessero mai chiesto la divisione dell'asse ereditario, ma solo la quantificazione della quota loro spettante: indipendentemente dal fatto che la domanda era stata ritenuta tardiva dal giudice, va rilevato che l'azione di divisione ereditaria e l'azione di riduzione sono autonome e diverse e la mancata proposizione dell'una non avrebbe potuto spiegare alcun effetto sull'altra.


Infine, per quanto riguarda i frutti, i giudici ritengono che al legittimario che ottiene la reintegrazione della quota di riserva con attribuzione di beni in natura, spetta la corresponsione, da parte del'erede testamentario, dei frutti dei beni ereditari con decorrenza dal momento dell'apertura della successione e nella misura corrispondente  alla quota astratta di eredità spettante al legittimario su tali beni.


Accolto il ricorso, la parola passa al giudice di rinvio che dovrà pronunciarsi tenendo a mente i principi enucleati dal Consesso.

Cass., II sez. civile, sent. 24755/2015

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