Il promissario acquirente non può invocare sin da subito l'inadempimento. Vediamo perché secondo una sentenza della Cassazione

Avv. Gabriele Mercanti

Cosa accade se il promittente venditore non è pieno proprietario (in tutto o in parte) del bene promesso in vendita? Che rimedi spettano al promissario acquirente ignaro di tale altruità (totale o parziale)?

Premesso che non è in discussione la validità della fattispecie contrattuale ma solo gli effetti che ne derivano (1), la Seconda Sezione Civile della Cassazione con la Sentenza n. 4.164 depositata il 2 marzo 2015, allineandosi all'ormai consolidato orientamento di legittimità (2), arriva a sostenere che il motivo di impugnazione promosso del promissario acquirente "verte su una circostanza irrilevante".

Ma prima, in estrema sintesi, i fatti.

Una società prometteva in vendita

ad altro soggetto un immobile senza specificare di non esserne proprietaria (carenza parziale di titolarità dovuta alla mancata emissione a favore del promittente venditore medesimo - aggiudicatario del bene in seno ad una procedura esecutiva - del relativo decreto di trasferimento); a fronte del mancato rogito (per ragioni sulla cui imputabilità le parti si accusavano a vicenda) il promissario acquirente recedeva dal contratto ed invocava la restituzione del doppio della caparra confirmatoria a suo tempo versata; il promittente venditore si opponeva: inizia così con atto di citazione notificato il 13 maggio 1994 l'estenuante vertenza.

In primo grado il Tribunale di Brescia (3) condannava il promittente venditore - convenuto- alla restituzione della caparra, mentre la Corte d'Appello (4) ribaltava il verdetto asserendo il diritto del promittente venditore al trattenimento  della caparra.

Avanti agli Ermellini viene proposto ricorso composto da ben 17 motivi, uno dei quali relativo alla legittimità dell'esercizio del diritto di recesso da parte del promissario acquirente a causa della mancata titolarità del bene promesso in vendita in capo al promittente venditore.

Ebbene, tale motivo per i Giudici del Palazzaccio non merita accoglimento, in quanto "il promittente venditore di una cosa che non gli appartiene, anche nel caso di buona fede dell'altra parte, può adempiere la propria obbligazione procurando l'acquisto del promissario direttamente dall'effettivo proprietario". 

L'altruità non dichiarata del bene promesso in vendita, quindi, non è di per sé un ostacolo insormontabile al perfezionamento del trasferimento immobiliare, in quanto nel frattempo il promittente venditore avrebbe la possibilità di "rimediare": o acquistando direttamente egli stesso il bene ovvero facendolo trasferire dal terzo direttamente al promissario acquirente.

Da questo principio ne deriva, poi, un inevitabile corollario: proprio perché vi è un fisiologico lasso di tempo intercorrente tra il preliminare ed il definitivo, il promissario acquirente "non può agire per la risoluzione prima della scadenza del termine per la conclusione del contratto definitivo, in quanto il promittente venditore fino a tale momento può adempiere all'obbligazione".

La sentenza in commento, dunque, conferma la linea evolutiva tale per cui oggetto del contratto preliminare non sarebbe un mero facere (cioè la prestazione del consenso inerente ad un successivo contratto) (5), bensì un dare (cioè il trasferimento del diritto).

Per mera cronaca processuale, uno dei 17 motivi di ricorso è stato accolto dai Giudici del Palazzaccio (6): il Giudizio, pertanto, è stato rinviato a diversa sezione della Corte d'Appello di Brescia.


Avv. Gabriele Mercanti - Foro di Brescia - avv.gabrielemercanti@gmail.com

www.avvocatogabrielemercanti.it

 

(1) Cfr. tra le tante Cass. n. 15.035/2001, in quanto l'aspetto della validità può definirsi ad oggi pienamente assodato.

(2) La regolamentazione delle obbligazioni scaturenti dal contratto preliminare di vendita di cosa altrui è stata minuziosamente affrontata dalle Sezioni Unite della Cassazione con la Sentenza n. 11.624/2006 oggetto di commento praticamente su ogni rivista giuridica.

(3) Cfr. Tribunale di Brescia del 23 marzo 2005.

(4) Cfr. Corte d'Appello n. 67 del 19 gennaio 2009.

(5) L'adesione alla tesi classica del facere, porterebbe alla bizzarra conclusione di considerare adempiente il promittente venditore che intimasse al promissario acquirente la conclusione di un contratto definitivo di mera vendita di cosa altrui.

(6) Si tratta del motivo inerente alla novità della domanda proposta dal convenuto in sede di precisazione delle conclusioni (legittimità del recesso dal preliminare) rispetto a quella in sede di costituzione in giudizio (accertamento dell'avvenuta risoluzione del preliminare per inadempimento della controparte).

Cassazione Civile, testo sentenza 4164/2015

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