Mobbing fra le mura domestiche: la separazione è addebitata al coniuge responsabile.

Il mobbing, ossia l'insieme di azioni vessatorie e intimidatorie svolte ripetutamente ai danni di una persona, può verificarsi anche in ambito familiare, con forme che incidono principalmente nella psiche del coniuge maltrattato, più che nel corpo. 

Ansia, depressione, disturbi psichiatrici sono le principali conseguenze delle ripetute sopraffazioni e dei silenzi imposti.
Nella maggior parte dei casi, infatti, il fenomeno del mobbing familiare si sostanzia in atti persecutori posti in essere da un familiare, che possono assumere diverse forme (condotte omissive o commissive; strategie persecutorie; molestie psicofisiche; apprezzamenti offensivi in pubblico; provocazioni verbali; ecc.), tutte finalizzate all'emarginazione del coniuge (Cass. Pen. n. 33624/2007) e messe subdolamente in pratica con l'intento di portare sistematicamente la vittima a deprimersi, distruggerne la personalità, sminuirne il ruolo ricoperto all'interno della famiglia, estromettendola da ogni scelta riguardante i figli, causando così seri danni anche alla loro psiche (dando origine alla c.d. "sindrome da alienazione genitoriale" riconosciuta espressamente in giurisprudenza, cfr. Cass. n. 7452/2012), manipolandone il comportamento ed inducendola ad adottare determinate decisioni contrarie alla sua volontà, fino ad allontanarla dall'ambiente familiare.

Un clima del genere può portare non solo alla separazione dei coniugi ma anche a una serie di conseguenze legali: prima fra tutte la pronuncia di addebito della separazione.
In giurisprudenza, il mobbing familiare ha trovato ingresso per la prima volta in una sentenza della Corte d'appello di Torino del 21.2.2000, la quale, ritenendolo elemento di addebitabilità della separazione, ha individuato alcuni comportamenti lesivi della dignità dell'altro coniuge e, dunque, in contrasto con i doveri derivanti dal matrimonio.
Nel caso di specie, la Corte di Torino ha riconosciuto, infatti, che il coniuge vittima di mobbing familiare può ottenere la separazione per colpa, addebitandola al marito. In particolare, considerando che i comportamenti irriguardosi, esternati privatamente e pubblicamente, protrattisi per tutta la durata del rapporto coniugale, gli atteggiamenti sprezzanti tesi a ferire la moglie nell'autostima e nell'identità personale, il rifiuto di ogni cooperazione e l'esternazione di giudizi offensivi, denigratori e svalutanti nell'ambito del nucleo parentale e amicale, integranti il "fenomeno ormai internazionalmente noto come mobbing" fossero "violatori del principio di uguaglianza morale e giuridica dei coniugi posto in generale dall'art. 3 Cost. che trova, nell'art. 29 Cost. la sua conferma e specificazione" ha ascritto al marito "la responsabilità esclusiva della separazione, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri (diversi da quelli di ordine patrimoniale) che derivano dal matrimonio, in particolare modo al dovere di correttezza e di fedeltà" (App. Torino 21.2.2000).

Oltre ad essere motivo di addebito della separazione, il mobbing familiare rimane comunque un atto illecito e come tale può dare diritto al risarcimento del danno.
Fatte salve, ovviamente, le condotte integranti fattispecie penalmente rilevanti (come la violazione degli obblighi di assistenza familiare ex art. 570 c.p.; i maltrattamenti contro familiari e conviventi ex art. 572 c.p.; etc.), il mobbing familiare consente l'ingresso, all'interno dei rapporti fra coniugi, della tutela aquiliana ex art. 2043 c.c., la quale pur sanzionando condotte illecite in genere estranee ai parametri dei doveri coniugali, codificati dal codice civile e dalla Costituzione, può essere estesa a sanzionare i danni "ingiusti" perpetrati attraverso il fenomeno del mobbing familiare.
Considerata l'assenza di una corrente giurisprudenziale significativa sul tema, risulta ad oggi interessante una sentenza di merito, seppur datata, del Tribunale di Milano del 10.2.1999.
Nella fattispecie, inerente un giudizio per la cessazione degli effetti civili del matrimonio, i giudici meneghini (pur respingendo la domanda di risarcimento presentata dalla moglie per carenza di rapporti sessuali a causa dell'impotenza del marito, considerato che la patologia di cui lo stesso era affetto era notoria sin dall'inizio del matrimonio) ammettevano la piena compatibilità della regola di cui all'art. 2043 c.c. nell'ambito dei rapporti coniugali, sull'assunto della natura giuridica e non soltanto morale dei doveri nascenti dal matrimonio, rappresentanti una vera e propria posizione giuridica di diritto soggettivo del coniuge meritevole di protezione (Trib. Milano, 10.2.1999).
Ancora più eclatante, nell'ambito della compatibilità della tutela risarcitoria con la disciplina del diritto di famiglia, è la pronuncia del Tribunale di Firenze del 13.6.2000.
Nel caso di specie, concernente la domanda di risarcimento del danno avanzata dalla moglie sulla base dell'abbandono materiale spirituale del marito a seguito della malattia psichica dalla stessa riportata che l'aveva progressivamente portata ad isolarsi dal mondo esterno e a rimanere in totale stato d'incuria, il Tribunale ha ravvisato la responsabilità aquiliana del coniuge per la violazione degli obblighi di assistenza materiale e morale derivanti dal matrimonio, e, in particolare, per aver abbandonato la moglie lasciandola priva per un lungo periodo di qualsiasi cura e sostegno, aggravando in tal modo anche la patologia psichica e il suo disagio. Nel rapporto di coniugio, i diritti inviolabili della persona (quali il diritto alla salute, all'immagine, alla personalità, all'onore, ecc.) ha statuito il Tribunale fiorentino, "restano sempre e comunque sacri e intangibili", per cui "ogni aggressione merita la risposta punitiva da parte dell'ordinamento anche e sopratutto con il risarcimento del danno patito dal soggetto aggredito".

Si veda anche: Il mobbing familiare


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